Interessante l’osservazione di Antonio Pascale sul numero di ottobre del mensile E. Trovandosi a scrivere un articolo sulla gestione dei rifiuti, egli fa un importante distinguo che centra un problema che spesso si riscontra in molti settori nel nostro Paese -dal giornalismo alla politica, dalle attività imprenditoriali alla vita di tutti i giorni- ossia la propensione a un approccio di stampo patologico, piuttosto che fisiologico.
«È come se fossimo dominati da una sorta di istinto che ci porta a esaltarci quando il danno è sotto i nostri occhi. Commentarlo ci dà soddisfazione, come a dire: “L’avevo detto io”. Presi dal turbine emozionale ci riteniamo depositari di un sapere incontrovertibile; dunque mettiamo sul tavolo una serie di soluzioni pronte all’uso, tutte molto belle, ma di una bellezza metafisica e geometrica. In fondo è la vecchia battuta di Nenni: “Una cosa rimpiango nella vita, di aver trascurato delle cose che si potevano fare -di modeste dimensioni, ma utili- nell’attesa di qualcosa di bellissimo, formidabile, ma impossibile”».
Questo l’atteggiamento patologico, largamente diffuso. Più sottile e impegnativo il suo opposto: «Siamo poco interessati alla fisiologia: come funzionano le cose? Spesso infatti è proprio la mancata conoscenza del funzionamento di un sistema a provocare il danno. Insomma la fisiologia è una disciplina preventiva. Ma il fatto è che questa disciplina richiede uno studio costante, umile -piccole e modeste cose- e comunque silenzioso, e per questo meno emotivo, quindi poco adatto alla drammatizzazione, sia intellettuale, sia civile, sia politica».
Vengono in mente tante questioni della nostra attualità, più o meno tutte quelle che giorno dopo giorno denunciamo su questo blog. I problemi di oggi sono il risultato della negligenza di ieri. E non sembra esserci, in questi anni, l’inversione di tendenza che potrebbe scongiurare almeno i problemi di domani. Anzi, la prassi consolidata è sempre di più parlare alla pancia delle persone, perdersi in una chiacchiera continua, osservare la pratica dell’annuncio, che costituisce ormai la quotidianità in politica. Drammatizzare, appunto, evitando nel frattempo di affrontare i veri problemi dell’Italia, in maniera responsabile. Giorno dopo giorno, silenziosamente, con spirito costruttivo.
Stiamo diventando un “Paese con l’asintoto”, come ci ha definiti l’economista Giacomo Vaciago nell’ultima puntata di Ballarò. «Ovvero ha detto che gli errori e il tempo perso da questo governo –spiega Luca Sofri sul suo blog– non lo paghiamo noi oggi ma “i nostri figli domani”, e che di fatto la distanza tra il disastro raccontato e l’apparente benessere diffuso percepito sta esattamente qui: il disastro mostrerà se stesso più avanti, e che è vero che l’Italia non è la Grecia proprio per questo. Che il governo può permettersi ancora di tirare in lungo nella sua inettitudine senza che le cose esplodano». Quello che stiamo vivendo è un declino lento e continuo, che non finirà col botto, perché la barca va, e potremo lasciarla andare ancora prima di accorgerci che l’acqua ci arriva alla gola. «La corda non si rompe e non si romperà per un altro po’, spiega Vaciago. E continueremo a pensare di averla sfangata, senza saperci spiegare perché. Perché pagheranno i prossimi, ecco perché».