Quando, al momento dell’insediamento, Mario Monti dichiarò apertamente che per far ripartire l’Italia sarebbero stati necessari dei sacrifici, pochi sono rimasti sorpresi. Da troppi anni il nostro Paese non è governato, bensì “gestito” da una classe politica che non ha saputo proporre una visione di medio-lungo periodo, stretta com’è da interessi e giochi di potere che ne hanno ingolfato l’azione riformatoria. La stessa classe politica, nel corso degli anni, non è riuscita a rinnovarsi, a trovare nuove spinte che seguissero veramente l’interesse pubblico, e non quello dei pochi. E, ancora, ora non vuole saperne di farsi da parte e lasciare che sia qualcun altro a pensare al futuro del Paese.
Ecco perché, in estrema sintesi, ci troviamo con un presidente del Consiglio e un Governo che non sono espressione di un voto popolare, bensì di una scelta di buon senso del presidente della Repubblica. Perché, ricordiamolo, non è stata la crisi a condurci in questo pasticcio, bensì l’incapacità di affrontarla, a causa di un cronico ritardo delle riforme (istruzione, lavoro), o di manovre che ci hanno avvicinati all’orlo del baratro. La squadra di Monti si è presentata come composta da “tecnici”, e quindi di tale natura dovevano essere le misure da essa adottate.
Si è parlato di introdurre tasse patrimoniali che ponessero fine alla sperequazione tra chi ha tanto e chi ha poco, o non ha. I primi avrebbero pagato di più, i secondi di meno, o nulla. Siamo ancora in attesa di una tassa sui grandi patrimoni, nel frattempo i proprietari di casa si preparano a fare i conti di quanto dovranno versare di Imu. Ci si attendeva, soprattutto, un taglio netto degli sprechi e degli enti inutili. Si è parlato, quasi subito, di eliminare, ridimensionare, ridurre le province, per esempio. Stanno ancora tutte lì. Anche la riduzione dei privilegi (e quindi dei costi) della politica sarebbe un atto doveroso.
Sembrava tutto pronto per un intervento di grande respiro, ma la tanto annunciata austerity la stanno affrontando soprattutto le famiglie, non i politici. Le prime, secondo indagini Istat, non hanno mai avuto una propensione così bassa al risparmio. Ed è un dato importante, visto che storicamente gli italiani sono sempre stati delle “formichine”. Nel frattempo, si assiste invece a provvedimenti quali l’eliminazione dei benefit per gli ex-presidenti della Camera, ma la legge non è uguale per tutti. Apprezziamo il gesto di Pierferdinando Casini, che ha annunciato di rinunciare comunque a ciò che gli spetterebbe secondo la normativa, ma attendiamo atteggiamenti collettivi di rinuncia al privilegio. Questi ultimi avrebbero infatti un peso notevole sul livello dei costi della politica. Mentre le singole iniziative, per quanto benvenute, non spostano davvero gli equilibri.
Anche il terzo settore sta pagando per le scelte politiche (difficile chiamarle diversamente) di questo Governo. Su tutte, la chiusura dell’Agenzia per il terzo settore e l’azzeramento (per ora) dei fondi per il Servizio civile. Insomma, cerchiamo sempre di dare una visione positiva e propulsiva nei nostri articoli. Ma a guardare la situazione (e non abbiamo elencato tante altre cose), tecnicamente, non possiamo che dirci preoccupati.