Le guerre sono da sempre un contesto che tende a rendere molto netti, e a esacerbare, i ruoli di genere all’interno della società. Come confermato da un’analisi dell’Alto commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati (Unhcr), la maggior parte dei profughi che scappano dalla guerra in Ucraina sono donne, bambini e anziani. Agli uomini tra i 18 e i 60 è infatti richiesto di restare nel paese, nel caso servano ulteriori forze per unirsi all’esercito.

Come si legge nel report, «La programmazione umanitaria deve tenere conto delle diverse esigenze della popolazione per essere efficace. L’Ucraina ha più di 130 gruppi etnici (censimento del 2001) e molte minoranze linguistiche. Il genere si interseca con altri fattori di diversità nel creare gruppi con vulnerabilità specifiche. Questi includono la comunità rom, gli anziani, le persone con disabilità, le donne nelle comunità rurali nelle zone di sfollamento e di conflitto, e le comunità LGBTI».

La raccomandazione dell’Unhcr a chi si sta prendendo cura di accogliere le persone in fuga è di tenere conto di queste specificità e agire di conseguenza. Agli Stati che confinano con l’Ucraina si chiede di raccogliere i dati di genere, età e disabilità dei rifugiati ucraini e di lavorare con i partner per assicurare una risposta assistenziale che tenga conto delle specificità di genere. Si chiede inoltre di impegnarsi con le donne ucraine che hanno ruoli di vertice e fanno da punto di riferimento in diversi settori, con le mediatrici e le organizzazioni che lavorano sui diritti delle donne su questioni relative alla pace e alla sicurezza. Allo stesso modo si insiste con gli operatori e i donatori umanitari affinché collaborino con le associazioni che si occupano di questi temi per accertarsi di mettere in atto azioni inclusive.

Il dibattito è in corso anche all’interno dell’area femminista di tutto il mondo, con le diverse voci del movimento che si confrontano sulle priorità e criticità di questa situazione. Yasmine Ergas di PassBlue si interroga sul fatto che la guerra in corso sia destinata a segnare una battuta d’arresto per le politiche femministe nel mondo, o se invece non sarà l’occasione per mostrarne la rilevanza e il potenziale.

«Fino ad oggi – sostiene Ergas –, ci sono state poche prove che i paesi FFP9 o altri paesi abbiano assegnato un ruolo centrale al genere nello sviluppo delle loro politiche verso l’Ucraina». Con la sigla FFP9 ci si riferisce a un nucleo di nove paesi (Svezia, Canada, Francia, Lussemburgo, Spagna, Messico, Libia, Germania e Cile) che hanno aderito a un piano strategico che li impegna ad adottare principi femministi nella propria politica estera.

«Naturalmente, ci sono molte espressioni del femminismo – prosegue Ergas – e diverse interpretazioni dei temi che le politiche estere femministe dovrebbero coprire. Secondo Margot Wallstrom, ex ministra degli esteri svedese che ha lanciato l’idea, una politica femminista si basa su quattro pilastri: diritti, rappresentanza, risorse e realismo. Ci sono anche visioni più inclusive che, per esempio, prendono in considerazione gli svantaggi intersezionali, ma la formulazione di Wallstrom ha il merito di essere molto chiara. Si chiede se le donne hanno accesso agli stessi diritti degli uomini; se sono rappresentate a tutti i livelli di governo; se sono state stanziate risorse adeguate per ripianare gli squilibri di genere a sfavore di donne e ragazze; e, infine, se è stata fatta una valutazione realistica delle probabilità (e delle traiettorie) di successo delle politiche adottate».

Come si traducono questi intenti, in concreto? Si tratta, in primo luogo, di insistere sull’uguaglianza di genere a qualsiasi tavolo negoziale attuale e futuro, spiega Ergas, e mettere al centro le voci di coloro che sono stati più direttamente colpiti dal conflitto. Chi sostiene le politiche estere femministe deve anche assicurarsi che la comprensione delle implicazioni di genere di questo conflitto dia forma alle politiche che vengono perseguite oggi. «Altrimenti – prosegue Ergas –, le aspirazioni femministe di plasmare la politica estera sono destinate a finire nella pattumiera, e questo darà un vantaggio involontario a Putin, che ha perseguito aggressivamente un’agenda di “valori tradizionali” che ha calpestato i diritti di genere per decenni. Se l’FFP9 può promuovere un’agenda che si sforza di assicurare l’equità di genere – o, per lo meno, di non esacerbare le disuguaglianze in essere – anche in mezzo a un conflitto, avrà dimostrato il valore aggiunto, e potenzialmente trasformativo, delle politiche estere femministe».

(Foto di Julia Kutsenko su Unsplash)

Col sangue si fanno un sacco di cose

Le trasfusioni di sangue intero sono solo una piccola parte di ciò che si può fare con i globuli rossi, le piastrine, il plasma e gli altri emocomponenti. Ma tutto dipende dalla loro disponibilità, e c’è un solo modo per garantirla.

Si comincia da qui