L’assegnazione di una benemerenza da parte del Comune di Milano a Guido Rossi, giurista e professore emerito di diritto commerciale all’università Bocconi, ci consente di tornare sulla questione dei capitali italiani depositati all’estero. Esattamente due mesi fa, su queste pagine ci chiedevamo infatti perché l’Italia non prendesse esempio da Germania e Regno Unito in tema di tassazione di capitali depositati in banche svizzere. In quei giorni, i due Paesi stipulavano accordi bilaterali con la Federazione Elvetica per recuperare, con effetto retroattivo, le tasse non pagate dai propri cittadini per quei soldi: aliquote alte -tra il 19 e il 34 per cento- e fine dell’anonimato.
Condizioni lontane anni luce dal 5 per cento del nostro scudo fiscale, che oltre a dare risultati meno rilevanti del previsto ha annullato per sempre la possibilità di risalire al percorso compiuto da certi capitali. Così, ingenuamente, anche noi di ZeroNegativo ci chiedevamo come mai il nostro Paese non prendesse provvedimenti analoghi a Germania e UK. A leggere i giornali, non trovammo alcuna risposta chiara e definitiva.
Il 7 dicembre, Guido Rossi ha fatto questa dichiarazione: «Per combattere veramente l’evasione fiscale c’è bisogno di una preparazione maggiore, anche se non occorre tantissimo tempo. […] Bisogna fare accordi con la Svizzera per avere trasparenza su tutte le esportazioni di denaro che sono state fatte senza pagare le tasse e quindi tassare». Niente tempi lunghi né complicati ragionamenti concettosi per Rossi, bisogna solo «che ci sia un ministro degli Esteri o un premier che vada a trattare con la Svizzera». Insomma, la nostra domanda di allora era più che legittima.
La risposta arriva, puntuale, dal ministro per i Rapporti col Parlamento, Piero Giarda. Rispondendo nel question time alla Camera a un’interrogazione dell’Idv che chiedeva l’attivazione di accordi simili da parte dell’Italia, Giarda ha spiegato che le intese «non rientrano nella tipologia delle convenzione per evitare le doppie imposizioni, ma configurano sostanzialmente una sanatoria o un condono per il periodo pregresso con una tantum sui valori mobiliari e l’applicazione di un’imposta liberatoria su base annuale che verserà in forma anonima per il futuro. Gli accordi consentono il mantenimento del segreto bancario svizzero».
Il ministro ha poi aggiunto che le critiche e le perplessità emerse nelle sedi internazionali sono state numerose: «L’esame provvisorio fa ritenere che gli accordi siano suscettibili di sovrapporsi ad altri accordi. Il commissario ha specificato che se questo fosse confermato la Commissione considererà la materia in modo molto serio, in sostanza aprendo una procedura d’infrazione». La spiegazione, francamente, non ci sembra del tutto convincente. Anche perché, come ha fatto notare Massimo Donadi dell’Idv, per lo scudo fiscale messo in atto dall’Italia non è stata aperta alcuna procedura d’infrazione. Dunque, perché ciò dovrebbe avvenire per i nuovi accordi? A risentirci per ulteriori chiarimenti, magari tra meno di due mesi, si spera.