Nonostante la campagna vaccinale contro il SARS-CoV-2 sia iniziata da più di un anno in gran parte del mondo, e nonostante i risultati evidenti nell’abbattere la curva delle ospedalizzazioni e delle morti da COVID-19, sui media italiani si dà ancora spazio a personaggi che a vario titolo appartengono all’universo “no vax”.

La cosa è particolarmente evidente nei talk show che ogni sera affollano i palinsesti dei principali canali televisivi. La formula è sempre uguale: si prendono delle persone con le competenze e i profili più disparati e le si mette a discutere su questo o quell’aspetto dei vaccini. Il che sarebbe forse tollerabile se la pandemia fosse finita da un pezzo, se non ci fossero ancora centinaia di morti ogni giorno per COVID-19 (nonostante abbiano smesso di crescere, nelle ultime tre settimane i morti sono sempre stati al di sopra dei 2.500 a settimana). Ma purtroppo, nonostante le cose vadano molto meglio di qualche mese fa – soprattutto grazie ai vaccini –, ci siamo dentro.

E le cose potrebbero andare ancora meglio se si vaccinassero tutte le persone che non l’hanno ancora fatto. Abbiamo dedicato diversi articoli all’impatto che tuttora la pandemia sta avendo sul sistema sanitario: in termini di esami e interventi rimandati, disturbi mentali, sospensione di servizi essenziali, ecc.

Ecco perché ci chiediamo se sia accettabile, in un contesto del genere, assistere al virologo che parla con il “semplice cittadino che si fa delle domande” (tra le formule usate da chi sostiene teorie prive di fondamento), o il giornalista che fino al giorno prima si è occupato di tutt’altro dialogare con l’epidemiologo. Perdendo completamente di vista il fatto che, per parlare di cose scientifiche, bisogna averne le competenze.

Ma nemmeno queste ultime sono garanzia di equilibrio e rettitudine, e infatti non mancano scienziati che a vario titolo sostengono teorie strampalate che negano l’efficacia (e anzi esaltano la pericolosità) dei vaccini.

La stragrande maggioranza, o meglio la quasi totalità della comunità scientifica concorda sull’efficacia dei vaccini. Certo al suo interno si discute continuamente, si mettono in dubbio le certezze per arrivare a conclusioni più solide, ma non si riparte ogni volta da capo. La scienza non pretende di avere la verità, altrimenti non si distinguerebbe dalla religione. Ci sono però degli ambiti in cui la quantità di prove a sostegno di una tesi sono così tante che le si prendono per buone. Non è la verità, ma è per lo meno quella che in inglese si definisce settled science, ossia scienza consolidata, su cui tutti sono d’accordo, e si può andare oltre.

Dare spazio a certe teorie, a certi personaggi, non sposta certo le convinzioni dell’intera categoria degli scienziati. Può però cambiare la percezione nella popolazione, dando l’impressione che ci sia all’interno del mondo scientifico uno scontro di posizioni che nei fatti non c’è.

Ci sono degli interessanti studi in proposito. Uno per esempio mostra la distanza tra il consenso quasi totale raggiunto tra gli scienziati rispetto alle cause umane del cambiamento climatico degli ultimi decenni e la percezione di quello stesso consenso tra la popolazione.

L’esperimento risale al 2013 e ha preso in considerazione oltre 12 mila studi sulle cause del cambiamento climatico, dando una valutazione della loro posizione sul tema (a supporto della tesi sull’impatto delle attività umane, contrario o neutrale) a partire dall’abstract. Adottando un approccio conservativo, la conclusione è stata che l’accordo tra gli scienziati era del 97 per cento.

Al contempo, un sondaggio del Pew Research Center (uno dei più autorevoli centri di ricerca sociale statunitensi) mostrava che solo una minima parte degli intervistati pensava che il consenso tra gli scienziati su quel tema raggiungesse la fascia 95-100 per cento. La stragrande maggioranza dei partecipanti immaginava invece che tale consenso si fermasse al di sotto del 50 per cento.

Il commento di chi ha confrontato questi risultati è molto attuale: «A contribuire a questa percezione errata è il falso equilibrio presente nei media, […] dove la maggior parte delle storie sul clima sono “bilanciate” da una prospettiva “scettica”. Questo fa sembrare quel 3 per cento di dissenso molto più grande, fino al 50 per cento. Nel cercare di raggiungere un “equilibrio”, contribuito in realtà a creare una percezione sbilanciata della realtà. Come risultato, la gente crede che gli scienziati siano ancora divisi sulle cause del riscaldamento globale, e questo fa mancare il supporto pubblico necessario ad affrontare il problema». Suona familiare?

(Foto di Marco Verch su flickr)

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