Quanto successo in Calabria fa sorgere diverse domande. Ci riferiamo alla rimozione del commissario della Sanità Saverio Cotticelli, perché all’oscuro del fatto che spettasse a lui elaborare un piano Covid per la regione. Gli è subentrato con effetto immediato Giuseppe Zuccatelli, del quale un attimo dopo la nomina è saltato fuori un video, risalente a maggio, in cui diceva questo sull’efficacia delle mascherine per limitare la circolazione del coronavirus. Zuccatelli ha fatto poi sapere che «Le mie affermazioni errate, estrapolate impropriamente da una conversazione privata, risalgono al primo periodo della diffusione del contagio». A quanto pare però il video risale al 27 maggio, cioè quando tutto il mondo scientifico aveva già ampiamente ritrattato l’iniziale limitata fiducia nell’efficacia delle mascherine, e ne raccomandava invece l’uso in un ventaglio crescente di contesti. Tra tutte le domande possibili, ci limitiamo a una: come vengono scelte le persone che ricoprono incarichi chiave nel mezzo di una pandemia? Sulla base dell’esperienza, delle competenze di settore, della conoscenza del territorio e del suo sistema sanitario… Sono tutte ipotesi, che potrebbero essere utili come spunto a chi dovrebbe dare una risposta.
Molte nomine, poca trasparenza
Da quando è cominciata la pandemia c’è stata una pioggia di nomine-lampo, su cui non esiste alcun sistema di trasparenza che ci permetta di capire i criteri che le hanno determinate. Sono mesi che si nominano commissari uno dopo l’altro, e capiamo che si debba fare in fretta, ma questa dinamica rappresenta uno dei tanti tasselli che compongono il grande assente nella gestione dell’emergenza sanitaria: il coinvolgimento dei cittadini. Da marzo in avanti, al di là delle maggiori o minori restrizioni della libertà di movimento e di comportamento, non si è fatto nulla affinché i cittadini si sentissero in qualche modo parte della gestione del problema. “Togli la mascherina, metti la mascherina. Resta in casa, esci pure”. Più o meno questo è stato il tenore dei messaggi. Gli stessi cittadini, poi, devono anche subire i giudizi di politici e opinionisti vecchi e nuovi che purtroppo hanno ripreso la scena (salvo qualche giorno di riposo durante le elezioni statunitensi). Gli italiani vengono dipinti, alternativamente, come cittadini responsabili che rispettano le regole e che hanno permesso al paese di uscire dalla “prima ondata”, oppure come degli incoscienti che non vedevano l’ora di andare al mare e in discoteca, rigorosamente senza mascherina, e che adesso hanno portato il virus anche nelle regioni non toccate dalla suddetta prima ondata. Dubitiamo che gli italiani cambino carattere, in blocco, più volte durante l’anno. La collaborazione dei cittadini non si può cercare solo sulla base della paura. Ha funzionato nella prima fase dell’epidemia, adesso non più. O meglio, funziona, perché bene o male ci sembra che le persone siano più responsabili che incoscienti, con tutte le eccezioni del caso, ma iniziano anche a essere stanche e arrabbiate. La stragrande maggioranza capisce la gravità della situazione e la necessità dei sacrifici, ma al contempo si chiede com’è che nei tre mesi a disposizione per prepararsi a una “seconda ondata” che tutti attendevano si sia fatto poco o nulla. Valgono a poco le schermaglie tra presidenti di regione e governo, con alcuni dei primi a fare la voce grossa perché si sentono “penalizzati” dall’essere finiti in “zona rossa”. Ci sembra un atteggiamento, questo sì, irresponsabile, che fa finta di non vedere le situazioni di grande stress di alcuni sistemi sanitari regionali. Concludiamo riportando un passaggio di un articolo di Paolo Giordano e Alessandro Vespignani per il Corriere: «Lo sforzo fatto finora lo si potrebbe definire, al più, “amministrativo”. Andando avanti così, i cittadini sentiranno sempre più aliena, soverchiante e odiosa una causa comune che invece deve impegnarci tutti. Abbiamo soffocato la prima ondata grazie alla concordia nazionale, ora rischiamo di soccombere alla seconda per discordia e per timore dell’impopolarità. Ma su questo possiamo forse rassicurare i nostri decisori politici, di tutti i gradi: «le persone» capiscono. Magari si lasciano confondere dall’interpretazione dei trend e delle percentuali, dai differenti tipi di test, ma capiscono istintivamente se un approccio è razionale oppure no. E quando capiscono che lo è, e che la posta in gioco è molto alta, quelle persone sono pronte a un sacrificio ripetuto. Un margine di disponibilità esiste ancora, ma non per molto. Perso quello, avremo perso tutto. Al prossimo giro, la recita dello stupore non sarà più tollerata da nessuno».