In questo periodo di decreti d’urgenza approvati a colpi di fiducia, è bene ripescare dalle pagine dei siti d’informazione il contenuto di un’inchiesta fatta qualche mese fa da Alberto Crepaldi per Il Fatto Quotidiano. Egli si occupò di indagare sui costi di uno dei più importanti organi delle istituzioni italiane, il Consiglio superiore della magistratura. «Il budget a disposizione del Csm è mostruoso: 35 milioni di euro ogni anno -scrive un blog che riporta i dati dell’articolo-. Ma il bilancio è praticamente introvabile, tranne qualche voce pubblicata sulla Gazzetta ufficiale. Ma andiamo con ordine. Intanto, il personale costa 19 milioni di euro l’anno. I componenti del Csm ne prendono 4,9, con tanto di 630mila euro di straordinari (i dati sono tutti del 2011). Un consigliere, sentito dal Fatto, si difende così: «Lavoriamo tantissimo». In effetti lavorano tre settimane su quattro per quindici giorni al mese».
Cifre paragonabili a quelle dei rimborsi elettorali dei partiti, in questi giorni materia di discussione (ma non di decisioni nette e chiare, ne siamo certi). Altro motivo di scandalo è il compenso del vicepresidente Michele Vietti, pari a 300mila euro all’anno, uno degli impiegati pubblici più pagati in Italia. Gli altri consiglieri percepiscono 115mila euro, e per tutti è prevista un’indennità di presenza di 75mila euro all’anno. 23 le auto blu, e poi ecco altri dati sulle spese sostenute annualmente: «250mila euro per stampare pubblicazioni e acquistare carta e riviste; 433mila euro per i costi di pulizia (compresa la smacchiatura di tappeti); 17mila euro per la fornitura di capi d’abbigliamento al personale autista; 703mila euro per incarichi professionali come traduttori e interpreti (di cui non si sa nulla di preciso)».
Insomma, non certo numeri consoni a un Paese che fa fatica a far quadrare i conti e il cui debito pubblico è salito al 130 per cento del Pil. Tra l’altro, per un organo che viene strapagato c’è un intero comparto che rischia il default, quello delle Forze armate. Il ministro della Difesa Mario Mauro ha detto che le Forze armate stanno «perdendo la “guerra del bilancio”, e con gli attuali parametri di spesa rischiano in pochi anni “il completo default funzionale”, oltre al “venir meno della capacità di partecipare nei fatti alla politica di difesa europea”». Non che le operazioni di guerra ci appassionino, ma ci sono dei trattati internazionali che l’Italia ha sottoscritto e che è tenuta ad assolvere. Peraltro le Forze armate non si occupano principalmente di guerra ma di peace keeping, e una copertura inadeguata delle spese necessarie può mettere a rischio l’incolumità di chi ha scelto di lavorare nell’esercito. Delle Forze armate fanno poi parte anche Carabinieri e Guardia di finanza, una politica di riduzione continua delle spese potrebbe compromettere anche la funzionalità di alcuni comparti molto importanti per la vita del Paese. La battaglia agli sprechi dev’essere senza quartiere ma ben indirizzata, anche se va contro posizioni di privilegio consolidate. Gli italiani si dimostrano ogni giorno più indisponibili ad accettare lo status quo, e chi li rappresenta ha il dovere di intervenire. Subito.