«La povertà è una condizione dolorosa, che fa danni, mentre di per sé la disuguaglianza è innocua. La situazione di chi sta in una posizione subalterna può essere buona abbastanza da garantire una vita soddisfacente». Le parole sono del filosofo statunitense Harry G. Frankfurt, che alla dicotomia tra povertà e disuguaglianza ha dedicato il suo ultimo libro. Non ci interessa tanto entrare nel merito della sua riflessione, per quanto interessante, bensì parlare della povertà e del fatto che i segnali sono evidenti: gli italiani poveri sono sempre di più.
Ciò che si osserva, e che preoccupa, è che a contrarsi sono le spese delle famiglie (soprattutto quelle con reddito più basso) per la salute: «Il rinvio più pericoloso, quello legato alla prevenzione – scrive Roberta Carlini su Internazionale –. Secondo l’Istat, dal 2005 al 2013 le visite dal dentista delle famiglie italiane sono diminuite del 30 per cento. Nel complesso, la spesa mensile media familiare legata alla sanità è scesa, dal 2008 al 2013, del 9 per cento. Una riduzione che ha colpito tutte le fasce di spesa delle famiglie, dalle più povere alle più ricche. Ma che, ai piani più bassi, è arrivata all’osso». Le percentuali fanno capire quanto l’incidenza del problema sia molto più grave tra le famiglie più povere: «Nel decile inferiore della spesa familiare, si è passati da 29 a 20 euro al mese (in percentuale, è un calo superiore al 30 per cento); in quello più alto, da 221 a 204 (il 7,6 per cento). E con la spesa si è ridotta l’equità di accesso alle cure: lo sostiene anche l’Istat, sottolineando che nell’anno 2014 – il sesto della crisi, forse l’ultimo – un utente su dieci ha rinunciato alle cure “per motivi economici o per carenze del Servizio sanitario nazionale”».
Il Paese sta cambiando e sparsi per il territorio ci sono i segnali che qualcosa di preoccupante sta avvenendo. L’inchiesta di Roberta Carlini si concentra su alcuni angoli apparentemente nascosti della Capitale, dove alcuni presidi nati per prestare cure a migranti senza permesso di soggiorno, persone che si muovono ai margini del diritto, vedano aumentare sempre di più la richiesta di aiuto da parte di cittadini italiani. L’aspetto della salute su cui più si tende a risparmiare sono le cure dentarie. Parlano così a Roberta Carlini due professionisti del settore: «Domenico Mazzacuva, odontoiatra di uno dei pochi servizi pubblici lasciati dallo stato a presidio delle nostre bocche, racconta un’altra storia. “Adesso le liste d’attesa si sono ridotte a un mese, la gente si affaccia e se ne va”. C’è troppo da pagare, tra ticket e contribuzioni varie: vedono il preventivo e vanno via, rinviano il più possibile. Oppure si dirigono verso i pochissimi presìdi totalmente gratuiti, quelli che nascono da iniziative territoriali, a volte sperimentali, spesso in collaborazione con il volontariato, quasi sempre appoggiati a qualche chiesa. […] Si trova sempre più spesso alla porta pazienti italiani anche Giuseppe Teofili, dentista che presta un pezzo della sua settimana – e un grande sforzo organizzativo – al piccolo ambulatorio dei comboniani, sempre a Roma».
Altro grande problema è l’alimentazione. Con la povertà non arriva la sotto nutrizione, bensì la malnutrizione. Per risparmiare si scelgono prodotti economici, di bassissima qualità, giusto per riempirsi la pancia (di schifezze): «Nell’ambulatorio di medicina solidale di Tor Bella Monaca – spiega Fotini Iordanoglou –, la percentuale è 30 a 70: trenta italiani per settanta stranieri. “Da tre-quattro anni le famiglie italiane hanno cominciato a presentarsi anche alla distribuzione dei pacchi-cibo. Vengono le donne, per lo più”, raccontano. “Ci raccontano che mangiano la carne, ma comprano i wurstel da 90 centesimi l’uno, è tutto grasso. Il pesce non lo comprano proprio, né prendono frutta e verdura”».
Una testimonianza importante di ciò che sta succedendo in Italia è data anche dall’impegno sempre maggiore della ong Emergency, che da qualche anno ha aperto dei centri sul territorio. Inizialmente pensati (anch’essi) per dare principalmente soccorso ai migranti, ultimamente stanno dando assistenza sempre maggiore anche agli italiani. «Quando nel 2006 abbiamo aperto il poliambulatorio di Palermo, non ci saremmo aspettati di dover ampliare il nostro intervento in Italia alle dimensioni attuali – scrive il responsabile del progetto Italia Andrea Bellardinelli –. E invece abbiamo aperto un altro poliambulatorio a Marghera (Venezia) e uno a polistena (Reggio Calabria), dove offriamo cure di base e specialistiche ai migranti e alle persone disagiate. […] Al poliambulatorio [di Marghera] si rivolgono i migranti che abitano nella provincia, provenienti dall’est Europa, dal Senegal, dal Bangladesh, e anche molti italiani, che sono circa il 20 per cento dei pazienti curati». Una volta acquisite queste informazioni, è interessante tornare a leggere le parole di Frankfurt nell’incipit: fanno un effetto un po’ diverso.