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La retorica dei giovani choosy (schizzinosi) che rifiutano i lavori se questi non rispondono perfettamente alle loro esigenze è dura a morire. Ad aver riportato in auge il tema è stato un articolo del Corriere, dal titolo eloquente: “Turni scomodi per lavorare all’Expo. Otto su dieci ci ripensano”. La notizia sarebbe che, di fronte all’offerta di un contratto di apprendistato, «parliamo di 1.300-1.500 euro al mese suppergiù», il 46 per cento dei selezionati si sarebbe tirato indietro all’ultimo, proprio prima della firma del contratto. In apertura del pezzo si insinuano possibili motivazioni (tirando a indovinare, così, come si fosse al bar) dovute appunto ai turni scomodi, come riprende il titolo: «Sarà che c’è di mezzo l’estate e poi i turni prevedono anche sabati e domeniche di lavoro». E allora via, tutti a pensare alle vacanze, altro che lavoro! L’editorialista Aldo Grasso non si lascia sfuggire l’occasione e riprende la notizia in un suo intervento video, nel quale definisce i giovani d’oggi, senza mezzi termini, una «generazione che non è ancora stata abituata al lavoro».

Chi lavora da tanti anni e ha la fortuna di godere delle tutele di un sistema lavorativo che è stato progressivamente smantellato (e non è ancora finita) non ha idea di ciò che deve affrontare oggi un neolaureato o neodiplomato in cerca di prima occupazione. Ferie, contributi, malattia: per molti sono oggetti del desiderio ai quali non potranno mai accedere. Ma non è solo questo: in molti ambiti lavorativi si respira la sensazione di trovarsi sempre alla ricerca della prima occupazione. Contratti brevi, brevissimi, paghe basse e incerte, nessuna tutela. E così via da un lavoretto all’altro, senza mai la prospettiva che tutto questo vagare di contratto in contratto implichi anche il fatto di mettere un mattoncino sul curriculum che poi possa portare, dopo la “gavetta”, a un lavoro, finalmente. Peraltro sarebbe bastato procedere alla verifica della notizia, che dovrebbe essere una normale prassi della professione giornalistica, per evitare di dipingere un quadro così surreale di un’Italia i cui giovani disoccupati stanno a casa ad aspettare un lavoro cucito su misura per loro.

C’è chi è andato un po’ più a fondo nella questione e ha scoperto alcune delle condizioni poste dalle agenzie interinali che si occupavano del recruiting. Vita ha intervistato uno dei giovani che si sono candidati e poi hanno declinato l’offerta: «Expo, per uno stipendio di 1.300 euro mi chiedeva una disponibilità pressoché illimitata, h 24, 7 giorni su 7 – dice Andrea, 24 anni –. E già questo non mi pare una cosa del tutto normale. Se poi pensiamo che si tratta comunque di un lavoro a termine e che è da capire quanto faccia curriculum, ho semplicemente preferito accettare un contratto meno vantaggioso economicamente ma più duraturo, che mi insegni veramente un mestiere e con degli orari normali».

Andrea Zitelli su Valigia Blu riporta altri casi di persone che si sono tirate indietro, non solo per questioni economiche ma anche perché sconcertate dalle modalità di selezione: Martina Pompeo, 25enne di Torino, passa le selezioni e viene chiamata a gennaio per il colloquio: «Passati 4 mesi, ad aprile, riceve una chiamata in cui le riferivano di essere stata confermata per la posizione Expo per uno stage in “comunication and social network” e che le avrebbero mandato la graduatoria ufficiale il giorno dopo. Martina chiama i giorni successivi l’ufficio Manpower di Milano (l’agenzia interinale che si occupa del reclutamento, ndr), in cui le dicono di aspettare e di mandare una mail. Nessuna risposta, fino al 16 aprile: “Vengo ricontattata e mi dicono che la formazione inizierà il 21”. L’indomani le comunicano che il corso sarebbe cominciato non più il 21 ma il 22 aprile “in quanto c’erano stati problemi riguardanti un aspetto del contratto”. La mail di Manpower sulla partecipazione al corso di formazione, spiega però Martina, non “riportava una graduatoria e neanche dettagli aggiuntivi sul contratto di lavoro”. “Io attualmente sto lavorando (per sopravvivere) e non me la sono sentita di mollare di punto in bianco senza preavviso il mio lavoro per andare incontro a una giornata di formazione senza una prova scritta del compenso che avrei percepito”, spiega». Sono solo due casi, ma la lista è lunga e le motivazioni, tutt’altro che pretestuose, sono riconducibili al fatto che, anche se scrivere “Expo 2015” sul curriculum fa gola a tutti, forse in molti casi il gioco non vale la candela.