In questi giorni si è ironizzato molto sull’antipatica espressione utilizzata dal ministro del Lavoro Elsa Fornero per descrivere i giovani in cerca di lavoro. Li ha definiti choosy, ossia schizzinosi. Ci piacerebbe fosse questo il problema alla base dello spaventoso livello di disoccupazione raggiunto in Italia, ossia che i neolaureati o neodiplomati sono ancora fermi lì, sul divano di mamma e papà, ad aspettare il lavoro perfetto. Quello per cui hanno studiato per anni, frequentando lezioni, sostenendo esami, scrivendo tesi. Sarebbe tutto più semplice, si potrebbe dire loro: «Forza, bamboccioni, andate a cercarvi un lavoro!». Ma non si spiegherebbero le decine di messaggi letteralmente infuocati che sono arrivati su ogni bacheca disponibile da tanti giovani ben poco choosy, bensì in cerca semplicemente di un impiego che permetta loro di essere indipendenti, innanzitutto, e poi di realizzare se stessi.
Purtroppo il governo dei professori non resiste, di tanto in tanto, alla tentazione di salire in cattedra e parlare alla gente come si parla a un gruppo di studenti per dare loro una scossa, una strigliata. Sfortunatamente la battuta, che in aula sarebbe caduta velocemente nell’oblio, è stata fatta in un’occasione pubblica, e quindi ripresa e amplificata dai media, estendendo la lezioncina alle orecchie di una platea molto estesa ed eterogenea, che giustamente si è sentita attaccata da un’espressione generica e infelice. Non vorremmo adesso essere noi a spiegare la lezione al ministro, che di certo non ne ha bisogno, ma era piuttosto ovvio che sarebbe andata a finire così.
Dopo che si è dato loro dei bamboccioni e degli “sfigati”, ora anche schizzinosi. Per carità, la questione non è totalmente distante dalla realtà. Sicuramente ci sono centinaia di giovani sparsi per l’Italia che, cresciuti con un tenore di vita che non ha richiesto loro grandi sacrifici, ora non sono pronti a “sporcarsi le mani” con occupazioni non allineate al livello dei loro studi. Ma è miope ridurre la questione a una casistica minoritaria. Si finisce per accusare di mancanza di volontà anche coloro che, giustamente, rifiutano lavori sottopagati (o non pagati), basati sullo sfruttamento e con spirito usa-e-getta: cioè o accetti queste condizioni o chiamo qualcun altro, tanto c’è la fila (il che vuol dire zero possibilità di crescita).
E continuerà a esserci quella fila, se mancheranno i giovani in apparenza choosy, ma in realtà consapevoli dei propri diritti fondamentali. Nel celebre romanzo “Furore” di John Steinbeck, ambientato negli Stati Uniti del sud rurale durante la grande depressione del 1929, Tom Joad -dopo che la sua famiglia è stata sfrattata dalle grandi compagnie che ne hanno acquistato i terreni- va a raccogliere frutta per 50 centesimi a cassetta, mentre fuori dal campo-prigione l’ex-prete Jim Casey presidia un picchetto per opporsi alla proposta dei padroni di ridurre il compenso a 25 centesimi. Joad lo istiga a lasciare la tenda, gli assicura che lui sta lavorando per 50, che non c’è da preoccuparsi. Ma Casey risponde che si lavora per 50 cents perché loro stanno lì, e se se ne andranno il prezzo scenderà a 25. Joad non capisce. Cala la notte, il presidio viene sgomberato, Casey muore, ma la sua profezia si avvera. E allora, quando il lavoro è una trattativa al ribasso, meglio choosy o loser (perdente)?