Il marchio “bio”, ormai è chiaro, non è necessariamente sinonimo di salubre e non mette al riparo dai rischi di altri prodotti che non possono sfoggiare il costoso logo. È già di per sé una contraddizione in termini, crediamo, il fatto che prodotti che si vogliono proporre come biologici siano ottenuti con metodi industriali, visto che dovrebbero portare con sé non solo il rispetto dei parametri stabiliti dall’Unione europea, bensì anche una filosofia alimentare slegata dai ritmi della produzione e più vicina a quelli della terra. Altro modo di alimentarsi in modo sano, senza necessariamente spendere un capitale, è quello che passa per intermediari diversi da quelli della grande distribuzione, e propone l’acquisto a “chilometro zero” accorciando la filiera. È il mondo dei gas (gruppi di acquisto solidale), che esistono ormai da anni in tutta Italia e, complice forse la crisi, stanno conoscendo un successo sempre maggiore. L’idea è semplice: comprare in gruppo prodotti locali direttamente dall’agricoltore o allevatore. La prima conseguenza è l’abbattimento del prezzo. Ma vi sono altre ricadute positive per chi inizia questo tipo di esperienze. Intanto un ritrovato contatto col territorio in cui si vive, da cui la città tende a isolare sempre di più. L’acquisto di gruppo favorisce il senso di comunità, avvicinando persone e idee che altrimenti non si incrocerebbero. E c’è anche un arricchimento culturale, perché non si tratta solo di compilare una lista e aspettare la merce, bensì di imparare (o ricordare) le cadenze della produzione agricola non intensiva, le esigenze della terra, che non sempre possono piegarsi alle nostre.

La BioDomenica del 9 ottobre, evento organizzato da Aiab (Associazione italiana per l’agricoltura biologica), Coldiretti e Legambiente, ha riscosso grande successo in tutto il Paese, portando nelle piazze di moltissime città i prodotti locali e le persone che lavorano per ottenerli. Si legge dal sito di Legambiente: «L’analisi degli ultimi sei anni di consumi biologici italiani e dei relativi canali di distribuzione -gruppi di acquisto solidale, spaccio in azienda, mercatini bio, e-commerce, consumi extra-domestici, agriturismo, mense scolastiche- dimostra che questi sistemi di distribuzione alternativi sono cresciuti mediamente del 76,4 per cento e che sono ormai competitivi con i sistemi tradizionali, perché riescono a garantire la qualità del prodotto insieme a un ritorno economico, sociale e ambientale conveniente per tutti, e a lungo termine».

E per quanto riguarda i gas, talvolta lo spirito d’iniziativa può spingersi anche oltre l’alimentazione, come nel caso del FotoGas, progetto con il quale i gruppi di acquisto solidale sbarcano nel mondo del fotovoltaico. Come si legge nel comunicato, a lanciare il patto è il DESBri (Comitato verso il Distretto di economia solidale della Brianza), con la firma di due fornitori di impianti fotovoltaici (Solaris Srl e Cooperativa sociale Coopwork) e di tre realtà locali (Retina dei Gas, Consorzio Comunità Brianza, Consorzio CS&L). Il progetto si fonda su motivazioni ambientali ed economiche, e ha il fine di promuovere l’installazione di impianti fotovoltaici sui tetti o sulle terrazze delle case degli aderenti ai gas. I fornitori si impegnano a proporre un prezzo trasparente concordato, non modificabile, e a sostenere il Fondo di solidarietà del DESBri, versando l’1 per cento del fatturato originato da ogni impianto realizzato per mezzo del FotoGAS (lo stessa percentuale è richiesta alle famiglie contraenti). Compito del DESBri è invece principalmente fare informazione sull’iniziativa verso i propri soci e la cittadinanza, oltre che vigilare sul rispetto dei patti nella stipula dei contratti. A oggi, grazie al FotoGAS, una dozzina di case brianzole sono dotate di altrettanti impianti fotovoltaici.