I lavoratori dello spettacolo manifestano da mesi per segnalare le difficoltà in cui si trovano a causa della pandemia. Ma per molti di loro le cose non andavano bene neanche prima, ed è per questo che alla protesta si aggiungono richieste specifiche. Ne ha scritto Annalisa Camilli per Internazionale.
A piazza del Popolo il 17 aprile migliaia di lavoratori dello spettacolo hanno manifestato al grido: “Governo, ora ci vedi?”, portando in piazza mille bauli in cui sono raccolti di solito gli strumenti di scena. La manifestazione è stata organizzata da diverse sigle a sei mesi dal primo flash mob dello stesso tipo, avvenuto a Milano.
Nelle stesse ore della manifestazione di piazza del Popolo, proprio mentre il governo Draghi annunciava le riaperture di fine aprile, veniva occupato il Globe Theatre di Roma, una struttura all’aperto nel cuore di villa Borghese, in cui le maestranze dello spettacolo hanno organizzato cinque giorni d’incontri e discussioni a cui hanno partecipato migliaia di persone, per chiedere al governo di prendersi carico dei costi di più di un anno di chiusura di teatri, cinema, spettacoli e concerti dal vivo, ma anche di cambiare approccio rispetto alla cultura, in un anno che ha mostrato tutti i problemi strutturali del sistema di produzione dei contenuti culturali: dal precariato estremo dei lavoratori dello spettacolo alla mancanza di finanziamenti e di progetti di lungo corso. “A noi gli occhi, please”, era scritto sullo striscione srotolato sul palcoscenico del teatro romano, parafrasando un vecchio spettacolo di Gigi Proietti, ideatore e direttore del Globe.
Ilenia Caleo, attrice, autrice e ricercatrice all’università di Venezia, è stata tra le promotrici dell’occupazione romana, che è durata solo cinque giorni perché “non vogliamo consumare tutte le nostre energie nella protesta, ci sembra che anche la lotta debba essere sostenibile in questa situazione di pandemia e volevamo non solo chiedere sussidi e assistenza al governo, ma soprattutto fare proposte, immaginare come potrebbe essere il futuro di questo settore a partire da questa crisi”. Caleo spiega che le mobilitazioni vanno avanti da un anno: “In queste settimane in Francia sono stati occupati un centinaio di teatri, anche se la situazione francese è molto diversa. Così come sono stati occupati due teatri a Napoli e a Milano”.
I lavoratori dello spettacolo hanno scelto di occupare il Globe anche per la consapevolezza che gli spazi al chiuso sono più pericolosi per il contagio: “Abbiamo scelto il Globe perché ci sembrava che ci tutelasse un po’ di più, questo anno di pandemia ci ha cambiati e non possiamo ignorare che anche manifestare e vedersi per discutere può rappresentare un pericolo, manifestare diventa quasi un’azione paradossale: si chiamano a raccolta corpi, che poi non possono stare vicini. Ma allo stesso tempo volevamo dare l’idea che non ci saremmo chiusi tra di noi a discutere. Non vogliamo che le nostre rivendicazioni siano solo quelle della nostra categoria, vogliamo aprirci anche ad altri settori che condividono i nostri problemi e in generale alla città. Il Globe è uno spazio aperto che ci ha consentito tutto questo. Già il nome, Globe, fa pensare al mondo: l’idea era quella di rifare il mondo, con lo slogan ‘Remake the globe’”.
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