In Italia, il Servizio Sanitario Nazionale (SSN) garantisce l’assistenza sanitaria ai cittadini nella propria regione di residenza, ma è possibile ricevere cure anche in strutture pubbliche o private accreditate di altre regioni. Questa “portabilità” dei diritti sanitari dà origine alla mobilità sanitaria interregionale. Un recente rapporto della Fondazione Gimbe ha analizzato i dati su questo fenomeno, aggiornati con numeri aggiornati al 2022.

Nel 2022, il valore totale della mobilità sanitaria ha raggiunto i 5.037 milioni di euro, il valore più alto dal 2010, con un aumento del 18,6% rispetto al 2021. Questo valore rappresenta il 3,86% della spesa sanitaria nazionale totale, pari a 130.504 milioni di euro. Tale mobilità si divide in mobilità attiva, in cui una regione attrae pazienti da altre regioni, e mobilità passiva, in cui i residenti cercano cure altrove. La differenza tra queste due tipologie di mobilità determina il “bilancio di mobilità” di una regione.

Il rapporto evidenzia un flusso significativo di fondi dal Sud al Nord. La Lombardia, l’Emilia-Romagna e il Veneto attraggono oltre la metà della mobilità attiva e il 94,1% del saldo positivo complessivo. In particolare, la Lombardia ha un saldo positivo di 623,6 milioni di euro, l’Emilia-Romagna di 525,4 milioni di euro e il Veneto di 198,2 milioni di euro. Al contrario, regioni come la Campania (308,4 milioni di euro) e la Calabria (304,8 milioni di euro) hanno registrato saldi negativi considerevoli.

Analizzando le tipologie di prestazioni erogate in mobilità, si nota che oltre i due terzi (69,9%) del valore complessivo sono legati ai ricoveri ospedalieri, sia ordinari che in day hospital, per un totale di 2.813,1 milioni di euro. Le prestazioni ambulatoriali specialistiche rappresentano il 15,9% (639,1 milioni di euro). Le strutture private accreditate forniscono oltre la metà del valore totale della mobilità attiva: 1.879 milioni di euro (54,4%) contro 1.573,2 milioni di euro (45,6%) delle strutture pubbliche. Per quanto riguarda i ricoveri, le strutture private forniscono una quota significativamente maggiore, il 26,2% in più rispetto a quelle pubbliche (1.569,5 milioni di euro contro 1.243,6 milioni di euro), mentre per le prestazioni specialistiche ambulatoriali il settore privato fornisce una quota leggermente inferiore (-6,1%) rispetto alle strutture pubbliche (309,5 milioni di euro contro 329,6 milioni di euro).

Lo studio rivela anche una stretta correlazione tra il rispetto dei Livelli Essenziali di Assistenza (LEA) e gli equilibri della mobilità sanitaria. Nel 2022, le prime cinque regioni per punteggio LEA totale (Emilia-Romagna, Veneto, Toscana, Lombardia e Provincia Autonoma di Trento) sono anche tra le prime sei per saldo di mobilità sanitaria pro capite.

La mobilità sanitaria è una questione complessa che presenta importanti implicazioni di natura sanitaria, sociale, etica ed economica. Vi sono profonde disparità nel diritto alla salute ed è necessaria un’azione urgente per riequilibrare i diritti dei cittadini. Garantire il diritto alla salute su tutto il territorio significa evitare che alcune aree continuino a “esportare” pazienti e denaro, mentre altre consolidano i propri centri di eccellenza, spesso rappresentati da strutture private accreditate. Il rapporto conclude che, senza investimenti e riforme mirate, la mobilità sanitaria penalizzerà sempre di più i cittadini più vulnerabili, mettendo a rischio la già compromessa universalità del Servizio Sanitario Nazionale.

(Immagine di DC Studio su Freepik)

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