«Come la fa sentire sapere che una persona su sette nel mondo ha avuto per le mani almeno una volta il Cubo?», ha chiesto Kate Kellaway del Guardian a Erno Rubik, inventore dell’oggetto che porta il suo nome. «È molto soddisfacente – ha risposto Rubik –. Ci sono così tante difficoltà nel mondo: economiche, culturali, politiche. Il Cubo mi dà la speranza che alla fine le persone siano abbastanza intelligenti da risolvere i propri problemi e sopravvivere». Erno Rubik è un docente ungherese di architettura, oggi 76enne, per nulla interessato alla notorietà e visibilità. Come spiega il New York Times, da ragazzo amava disegnare, dipingere e scolpire. Mentre studiava architettura e poi arti applicate, cresceva la sua ossessione per i pattern geometrici. Da docente ha tenuto un corso intitolato “geometria descrittiva”, che insegnava agli studenti a rappresentare figure tridimensionali su supporti bidimensionali, con tutti i problemi che questo comportava. Un campo bizzarro ed esoterico, che gli è probabilmente servito per arrivare a concepire il Cubo.

L’invenzione del Cubo

Nell’estate del 1974, quando aveva 29 anni, Rubik era nella sua stanza da letto a casa della madre, con cui viveva. Un ambiente che descrive come piuttosto caotico: matite colorate, corde, bastoncini, molle e pezzi di carta sparpagliati qua e là. Era anche pieno di cubi, fatti di carta e legno. Un giorno, «non so nemmeno io perché», Rubik provò a mettere assieme otto cubi in modo che restassero uniti, pur potendo muoversi cambiando posto. All’inizio, l’oggetto continuava a finire a pezzi. Dopo diversi tentativi, Rubik trovò il modo di costruire qualcosa di paradossale: un oggetto solido e statico, che è anche fluido. Dopo averlo fatto girare tra le mani per un po’, decise di dare un colore ai quadratini, uno per lato, in modo da renderne visibili i movimenti. Gli diede un giro, poi un altro e un altro ancora, finché non si rese conto di non essere più in grado di riportarlo allo stato iniziale. Nonostante circolino varie leggende metropolitane sul processo che portò alla creazione del Cubo, Rubik assicura che le cose andarono proprio così: ci lavorava nel tempo libero, mentre continuava a lavorare e frequentare amici.

Un oggetto paradossale

La storia di questo oggetto è affascinante proprio perché racchiude in sé tanti paradossi. Il suo stesso inventore non era sicuro che fosse possibile riportarlo allo stato iniziale (gli ci volle un mese la prima volta). I matematici hanno calcolato che il numero di modi in cui si possono posizionare i vari quadratini è pari a un numero a 20 cifre (che vi risparmiamo), di cui una sola è quella corretta. Nel frattempo sono nati gruppi di appassionati di questo particolare rompicapo. Più di 350 milioni di esemplari ne sono stati venduti nel mondo (escludendo le copie, che sono ovviamente molte di più). Ha catturato l’attenzione di programmatori, filosofi e artisti. Centinaia di libri con tecniche di soluzione rapida sono stati pubblicati, così come altri che ne analizzano i principi di design o le implicazioni filosofiche. Il celebre scienziato cognitivo Douglas Hofstadter nel 1981 ha scritto: «È un’ingegnosa invenzione meccanica, un passatempo, uno strumento di apprendimento, una fonte di metafore, un’ispirazione». Attualmente il record mondiale per la soluzione del Cubo è di 3,47 secondi, stabilito nel 2018 da un cinese (qui il video, dura poco).

Il libro

È uscito da poco in inglese il libro di Rubik, Cubed, in cui l’architetto prova a indagare “la vera natura del cubo”, chiedendosi cosa è successo intorno alla sua invenzione, e perché. Non si tratta di un’autobiografia, bensì di un incrocio tra un libro di memorie, un trattato intellettuale e in gran parte una storia dell’amore che lega Rubik alla sua invenzione e alla comunità di “cubers” fissati. Ciò che gli interessa è capire la relazione delle persone con il Cubo. Anche il suo libro è una specie di rompicapo. La giornalista del Times ne definisce la lettura come un’esperienza «strana, che può disorientare, simile a ciò che si prova girando uno dei suoi cubi». La mancanza di struttura e di un arco narrativo sono una scelta intenzionale dell’autore: «Avevo diverse idee – ha spiegato Rubik – e ho pensato di condividere questo miscuglio lasciando al lettore il compito di trovare quali siano quelle valide. Non ti sto prendendo per mano guidandoti in questo percorso. Puoi cominciare dalla fine, oppure da metà». Al momento non sappiamo dire se il libro sarà tradotto in italiano. È anche difficile stabilire come siamo arrivati a scrivere questo articolo, e se sia davvero finito. Probabilmente siamo caduti vittime del fascino del Cubo.

(Foto di Andy Makely su Unsplash)