Sul Ttip (Transatlantic Trade and Investment Partnership) è in corso un dibattito che sta dividendo politici, economisti e società civile. È ancora il caso di parlarne, perché le analisi sui possibili scenari che l’approvazione del trattato può aprire sono in continuo aggiornamento (anche se il giudizio complessivo sul testo non cambia e resta negativo). Le stesse istituzioni dell’Unione europea si trovano su posizioni diverse in merito: mentre la Commissione porta avanti le trattative con gli Stati Uniti (per chi non sa di cosa stiamo parlando, consigliamo di partire da qui), il Parlamento ha richiesto la redazione di un rapporto per studiare gli effetti del trattato sul mondo del lavoro, che indica un grande rischio di perdita di posti nel breve termine, in particolare per Italia e Germania: «Secondo il rapporto Ttip and Jobs – scrive il sito Sbilanciamoci.info – la conclusione del trattato transatlantico “porterà ad una sostanziale riallocazione di posti di lavoro”, con un impatto negativo nel breve termine e un ipotetico impatto positivo sul lungo termine, ma in realtà ancora da definire e contabilizzare. L’ipotesi di impatti positivi nel lungo termine si scontra in realtà con gli effetti che troppe volte le liberalizzazioni dei mercati hanno portato nella ristrutturazione delle economie, con interi settori che collassano e altri che, pur espandendosi, non sono in grado di riassorbire le persone espulse dal mercato del lavoro. Il Ttip avrà impatti diversi a seconda dei Paesi, e l’Italia pare subire gli effetti più pesanti. A pagina 40 del rapporto si vede come l’Italia è seconda solo alla Germania per la perdita di posti di lavoro (quasi 300mila), con guadagni di reddito procapite che non superano lo 0.5 per cento». Si renderà dunque necessario un intervento con programmi di assistenza sociale per andare incontro a una perdita di posti così grave, in vista di un ipotetico futuro aumento del benessere, tutto da verificare.

Ma l’Europa è pronta ad attutire l’impatto di questo scenario sull’occupazione? Sembra di no, anche perché uno degli strumenti più importanti per affrontare questo tipo di situazioni è stato recentemente depotenziato: «“Programmi speciali di assistenza per gli aggiustamenti legati al commercio, nella forma ad esempio dell’European Globalization Adjustment Fund (EGF), potrebbero essere necessari per ragioni di politica economica, considerato che le riallocazioni indotte dal commercio sono percepite come particolarmente ingiuste”. Potrebbe essere necessario “strutturare un programma speciale per affrontare le ripercussioni negative dovute al Ttip”. Quanto l’Europa non sia pronta a tutto questo, lo dimostra il taglio dell’Egf da 500 milioni di euro a 150 milioni per il periodo 2014-2020. Proprio mente gli Stati Uniti hanno aumentato lo stanziamento a 2.3 miliardi di dollari lo scorso maggio 2015, proprio per contrastare gli effetti negativi del Tpp (la Transpacific Partnership) e del Ttip».

Nei giorni scorsi, sul sito Lavoce.info si sono confrontati punti di vista diversi sul trattato. In un articolo firmato da due economisti (Francesco Daveri e Mariasole Lisciandro) si rassicurava sul fatto che i meccanismi istituzionali dell’Unione impediranno il realizzarsi degli scenari peggiori (in particolare in merito ai rischi per l’ambiente e per la sicurezza alimentare). Gli risponde un altro economista, Pierantonio Rumignani, concentrandosi in particolare sulla questione dei tribunali arbitrali (trascurata nel precedente articolo) che, se dovesse passare la versione del trattato proposta dalla Commissione, con le loro sentenze sarebbero nuove fonti di diritto, arrivando quindi a intaccare le norme contenute nei trattati. «Se è vero – scrive Rumignani – che l’articolo 191 del Trattato sul funzionamento della Ue prevede esplicitamente l’impiego del principio di precauzione, è anche vero che sentenze da parte di un tribunale arbitrale – composto o no da giudici – potranno senza problemi sovrapporsi e introdurre vulnus a quel principio. La fila delle multinazionali, ad esempio, che già premono per l’introduzione di prodotti geneticamente modificati è consistente». Il tema è complesso, e il rischio di restare schiacciati da un meccanismo che gioca “al ribasso” a vantaggio degli Stati Uniti sembra molto alto.

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