Come avrete notato se ci seguite abitualmente, ospitiamo spesso su ZeroNegativo informazione scientifica sul tema dell’alimentazione, della salute, dell’esercizio fisico, in una parola su quelli che definiamo “stili di vita sani”. Per essere certi di presentare informazioni affidabili, cerchiamo di affidarci a testate riconosciute, che con giornalisti specializzati (spesso con una formazione scientifica alle spalle) affrontano i vari studi con approccio critico: smontandoli, intervistando studiosi non coinvolti nello studio, confrontandoli con altri studi.
Per quanto piccoli, cerchiamo di prendere sul serio il nostro ruolo. Una cosa che non sempre ritroviamo in testate generaliste ben più diffuse e blasonate, che avrebbero tutti gli strumenti per essere altrettanto accurate e affidabili. Ieri per esempio abbiamo scritto dello studio sulla taurina, che non parlava proprio di “elisir di lunga vita”, come titolato da alcuni giornali. In quel caso lo studio era affidabile e ben fatto, ma il messaggio estrapolato dall’informazione generalista è stato così semplificato da risultare fuorviante.
In altri casi, sono gli studi stessi a non essere affidabili. Purtroppo, nella foga di “pubblicare a tutti i costi”, talvolta i gruppi di ricerca vengono meno ai principi che muovono il campo scientifico. Il sistema di controlli e ri-controlli delle riviste scientifiche dovrebbe evitare che tali studi raggiungano la pubblicazione, ma non sempre le cose vanno per il verso giusto. La cosa più seria da fare in questi casi è ignorare lo studio (ci sono modi per “fiutarne” la scarsa qualità, con un po’ di studio ed esperienza). E siccome, come dicevamo, anche il mondo dell’informazione ha i suoi difetti, capita che i risultati di questi studi ottengano ampia diffusione.
Oggi vi parliamo di un caso non molto diffuso qui da noi, ma di cui si è parlato nel Regno Unito. Riguarda uno studio secondo cui, per migliorare la salute intestinale, bisognerebbe mangiare ben 30 tipi di verdure diverse alla settimana.
Ne ha scritto Stuart Ritchie, autore che da tempo si occupa di portare alla luce difetti ed errori degli studi scientifici. Come spiega su iNews, questa idea sembra risalire al professor Tim Spector del King’s College di Londra. In un articolo dell’anno scorso, Spector ha commentato uno studio di cui è stato coautore affermando che «Il fattore dietetico più importante che abbiamo trovato per una migliore salute dell’intestino è il numero di piante diverse che mangiamo, con 30 a settimana come numero ottimale».
Detta così, prosegue Ritchie, sembra che il suo gruppo di ricerca abbia condotto uno studio in cui si è analizzata la salute di persone che mangiavano un numero diverso di vegetali a settimana e che abbiano trovato un “picco” per la salute dell’intestino con 30 verdure in particolare. In realtà, non è quello che hanno fatto.
La ricerca è stata realizzata nell’ambito di un progetto di “citizen science”, in cui le persone inviavano al laboratorio campioni fecali e altri campioni biologici da analizzare. Tra questi, sono stati selezionati solo coloro che mangiavano meno di 10 o più di 30 tipi di verdure alla settimana. In totale, 219 persone hanno compilato un questionario sulla loro dieta, ma una volta selezionate solo queste due categorie, la dimensione del campione era solo di 85 persone.
Il numero di 30 verdure a settimana è del tutto arbitrario ed è stato scelto dai ricercatori. Non abbiamo quindi idea se le persone che mangiano, ad esempio, 20 verdure a settimana, o 15, avrebbero gli stessi benefici. «Il numero specifico di 30 non significa assolutamente nulla», scrive Ritchie.
Inoltre i ricercatori non hanno mai messo in relazione la misura del consumo di piante con altri indicatori di salute o benessere. Si trattava di un’analisi puramente di campioni di laboratorio. Hanno così ignorato uno degli aspetti che rendono complesso fare ricerca sull’alimentazione: il fatto che le variabili in gioco sono tantissime, ed è difficilissimo stabilire relazioni di causa-effetto.
È probabile quindi che le persone generalmente poco sane (che mangiano molto “cibo spazzatura”, per esempio) rientrino nel gruppo “meno di 10”, mentre coloro che seguono una dieta equilibrata abbiano barrato “più di 30”. Se è così, non sono le piante in particolare, né tanto meno il numero esatto di 30, a fare la differenza. Ma fino a quando non ci sarà uno studio che sperimenti effettivamente la dieta, non potremo saperlo.
L’aspetto negativo, conclude Ritchie, è che queste raccomandazioni molto specifiche, ma molto superficiali, potrebbero far preoccupare inutilmente le persone per la loro dieta. La ricerca sull’alimentazione ha il potenziale per insegnarci molto su come la nostra dieta si relaziona alla nostra salute. Ci sono alcune raccomandazioni, come quella di mangiare cinque porzioni di verdura al giorno, che sembrano assolutamente ragionevoli alla luce di quanto sappiamo dagli studi. Ma gli scienziati dovrebbero probabilmente astenersi dal formulare raccomandazioni dietetiche molto specifiche dal vago sentore scientifico sulla base di studi che non hanno nemmeno testato la raccomandazione in questione.
(Foto di Jacopo Maia su Unsplash)
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