Nonostante la concomitanza tra il periodo più caldo della campagna elettorale e l’inizio delle scuole, nonché il fatto che proprio in queste ultime si svolgeranno le votazioni (in mancanza di soluzioni migliori), nessuno dei partiti in corsa per le elezioni ha pensato di mettere la scuola al vertice, o per lo meno tra i primi punti del proprio programma.

Sul Sole 24 Ore del 18 agosto è comparsa una doppia pagina di analisi della situazione che mette in luce i problemi ancora irrisolti nel mondo dell’istruzione e le promesse dei partiti politici, vaghe e “nascoste” nella parte centrale dei programmi elettorali. Peraltro, tutti i partiti principali in lotta per ottenere la maggioranza in Parlamento (con l’eccezione di Fratelli d’Italia) hanno partecipato ai governi che si sono succeduti nel corso dell’attuale legislatura, il che rende le loro proposte, già annacquate in partenza, ancora meno credibili.

Uno dei primi nodi all’ordine del giorno è, tanto per cambiare, quello degli insegnanti. Come spiega il Sole, degli 850 mila insegnanti in attività, circa 150 mila sono supplenti, nonostante le sette procedure di assunzione previste nei mesi scorsi. Su 94 mila assunzioni autorizzate dal Ministero dell’istruzione sono stati coperti circa 30 mila posti. C’è ancora tempo e le cifre aumenteranno, ma le stime più accreditate prevedono che si coprirà al massimo il 50-60 per cento delle cattedre, in linea con gli anni scorsi.

Fa una certa impressione leggere quanto scriveva già nel 1979 il Censis, parlando di «necessità di una programmazione nel reclutamento del personale». Evidentemente c’è stato qualche problema se, dopo oltre quattro decenni, siamo ancora in questa situazione. Con l’ultima riforma, è la sesta volta in vent’anni che viene cambiata o aggiornata la procedura di accesso all’insegnamento. Impossibile spiegare il significato di tutte le sigle che si sono succedute: prima c’erano le Ssis, poi i Pas, il Tfa, Scienze della formazione primaria, il Fit (rimasto solo sulla carta), e adesso è la volta dei 60 crediti. Un percorso oneroso quest’ultimo di cui peraltro, complice la fine del governo Draghi, siamo ancora in attesa dei decreti attuativi.

Il momento è delicatissimo e, proprio per le difficoltà di reclutamento, non solo degli insegnanti ma anche del personale amministrativo, c’è il rischio di non riuscire a investire tutti i fondi straordinari che stanno arrivando con il Pnrr.

Altro tema importante è quello del rinnovo dei contratti e dell’aumento degli stipendi degli insegnanti, su cui tutti hanno promesso di tutto negli ultimi anni, ma senza grosse ricadute concrete. Non si tratta solo di una questione di diritti dei lavoratori, ma anche di qualità della didattica che si può costruire con premesse simili. Come argomenta Luisa Ribolzi, con retribuzioni basse, precarietà, stipendi uguali per tutti, impossibilità di fare carriera, nonché i tortuosi percorsi per l’abilitazione di cui sopra, è difficile attrarre gli insegnanti migliori e più motivati verso la didattica. Inoltre, secondo Ribolzi, la centralizzazione del reclutamento impedisce alle scuole di scegliere gli insegnanti e di realizzare il proprio progetto educativo, attivando un processo di turnover incontrollabile.

Sarebbero ancora molte le questioni da elencare, ma ne citiamo una in chiusura di cui si parla davvero poco, ossia il contenuto e le modalità della didattica. Con uno studente su due che esce da scuola senza avere le competenze di base (secondo i risultati dei test Invalsi), forse una riflessione seria anche su questo tema andrebbe fatta.

(Foto di Taylor Wilcox su Unsplash)

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