Quando i ricercatori inviano i propri articoli a una rivista scientifica, nella speranza che siano accettati e pubblicati, spesso devono farlo rispettando le indicazioni di formattazione fornite da quella rivista. Se la risposta è negativa, dovranno individuare un’altra rivista, reimpaginare, inviare. E così via, finché l’articolo non viene accettato.

Tutto questo richiede molto tempo. Ore di lavoro che vengono impiegate, invece che per produrre conoscenza, per soddisfare requisiti editoriali. Ma il tempo è denaro, come si suol dire, e un gruppo di ricercatori ha calcolato quanto: la stima è di 230 milioni di dollari nel 2021 per quanto riguarda la comunità scientifica globale. La ricerca è stata pubblicata (dopo opportuna impaginazione) su BMC Medicine, e ne ha scritto Nature.

Sconvolti dalla scoperta, gli autori dello studio stanno ora facendo campagna attiva affinché le riviste consentano l’invio di documenti in formato libero, in modo che i ricercatori non debbano più sprecare così tanto tempo a sistemare la lunghezza degli abstract, quella totale, il formato delle conclusioni, quello dei grafici, ecc.

Non tutte le riviste rifiutano gli articoli che non sono conformi alle loro specifiche, hanno detto alcuni ricercatori sentiti da Nature, ma c’è una pressione implicita a seguirle, soprattutto per chi è inizio carriera. In alcuni casi il lavoro si può fare una volta sola, cioè dopo che l’articolo è stato accettato, il che riduce drasticamente il tempo di lavorazione.

Per avere un’idea del costo della riformattazione, il gruppo di ricerca ha stimato gli stipendi medi orari degli accademici negli Stati Uniti e nell’Unione Europea, il tempo impiegato per la riformattazione di ogni manoscritto (quattro ore) e il numero annuale di ripresentazioni degli articoli. Hanno così calcolato che, se le pratiche attuali delle riviste non cambiano, la riformattazione potrebbe costare circa 2,5 miliardi di dollari in termini di tempo dei ricercatori tra il 2022 e il 2030.

Tra le proposte c’è anche quella di trovare un accordo tra tutte le riviste affinché si diano linee guida comuni, o permettano di inviare lavori in formato completamente libero. Gli autori raccomandano anche una soluzione di compromesso, che consentirebbe ai ricercatori di presentare i manoscritti senza seguire requisiti specifici di formattazione, ma rispettando invece quelli minimi come il numero totale di parole.

Nature stessa spiega nell’articolo la propria posizione, ammettendo di avere «un lungo elenco di linee guida per la formattazione degli scritti». La caporedattrice Magdalena Skipper ha affermato che il formato di invio di un articolo «non influenza il giudizio dello scritto» e che la rivista «valuterà attentamente» i suggerimenti proposti dall’analisi.

Gli autori dello studio riconoscono che alcune riviste sono diventate più indulgenti sulla formattazione dei manoscritti al momento della presentazione. Ma è sempre più diffusa la convinzione che si debba superare definitivamente il problema.

(Foto di National Cancer Institute su Unsplash)

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