La categoria dei rider, ossia le persone che in sella alla loro bicicletta (o altro mezzo di trasporto) ogni giorno consegnano cibo a casa di migliaia di persone, sta guadagnando un grande valore simbolico.

Da un lato se ne parla per la questione dei diritti. Recentemente, un’inchiesta ha messo in luce la mancanza di tutele del loro inquadramento professionale e ha stabilito che i rider vadano assunti a tutti gli effetti come dipendenti. Il procuratore capo di Milano, Francesco Greco, nel corso di una conferenza stampa in cui è stata presentata un’indagine in merito, si è espresso così: «Non è più il tempo di dire che i rider sono schiavi, è arrivato il tempo di dire che sono cittadini che hanno bisogno di una tutela giuridica». La svolta c’è effettivamente stata e, almeno coloro che lavorano per Just Eat, diventeranno lavoratori dipendenti con il contratto della logistica. «L’accordo – spiega il manifesto – è stato firmato ieri dall’azienda con le categorie di Cgil, Cisl, Uil dei trasporti e dei lavoratori atipici pochi giorni dopo lo sciopero nazionale dei ciclofattorini organizzato dalla rete “Rider per i diritti” venerdì 26 marzo in una giornata di convergenza delle lotte con i lavoratori dello spettacolo e i lavoratori della logistica». A mostrare che ogni cosa, anche questa, ha molte più sfaccettature di quanto pensiamo, c’è stata la contro-protesta dei rider che invece vogliono restare autonomi: «“Noi siamo nati autonomi e vogliamo rimanere autonomi – dichiara un manifestante ai microfoni de La Presse –, chiaramente aumentando le tutele del contratto Ugl-Assodelivery. Il contratto è un punto di partenza, non di arrivo. Ma noi ci sentiamo autonomi in tutto e per tutto”. “Ieri è stato sottoscritto un contratto subordinato, che ha delle paghe orarie bassissime, che prevede un’assunzione in regime subordinato di dieci ore alla settimana. Il che significa duecento euro al mese. Sicuramente uno stipendio da fame che non risolve il problema dei rider, che hanno necessità di uno stipendio ben più alto”, spiega un altro rider presente alla manifestazione».

In questo senso i rider sono il simbolo di come la digitalizzazione, lontana dal risolvere di per sé problemi che ci portiamo dietro da tempo, li riproponga in vesti diverse. Quando nacquero le prime compagnie di consegna a domicilio basate su app, le paghe orarie e condizioni contrattuali erano ragionevoli. Col tempo si sono però accorte che quel modello commerciale non stava in piedi, e quindi sono intervenute esattamente come si è sempre fatto nel mondo del lavoro in società capitaliste: tagliando i costi del lavoro. Il fatto che siano cambiate le modalità di interazione tra lavoratore e datore di lavoro, che non si abbia più a che fare con “colleghi” e “capi” ma con un sistema che gestisce e dirige il processo attraverso una app e secondo principi di gamification, non ha cambiato le gerarchie e i rapporti di forza (qui l’esperienza di un insegnante che durante la pausa estiva delle lezioni ha deciso di darsi alle consegne a domicilio). Al limite ha reso meno evidenti gli attori in campo: difficile manifestare e “farsi ascoltare” quando dall’altra parte non c’è una faccia, un nome a cui rivolgersi.

Tutti questi problemi esistevano ben prima della pandemia, ma forse oggi se ne parla di più perché i rider sono ancora più evidenti. Essendo state tra le prime categorie a poter derogare dalle limitazioni imposte per il controllo della pandemia, sono diventati più visibili. Ancora oggi, nelle città medio-grandi, quando arriva l’ora di cena si vedono soprattutto loro in giro. Esattamente un anno fa, per esempio, si leggeva questo su Doppiozero: «Per inciso, e a proposito di beni essenziali, vorrei ricordare a tutti noi che mentre perdiamo tempo a spiare il nostro vicino ammonendolo per la quarta pipì fatta fare al cane, in Italia la filiera dell’agroalimentare, la più necessaria di tutte, si apre con centinaia di persone ammassate su furgoni (persone che, la sera, vengono riportate, sempre ammassate, in baraccopoli senza acqua corrente) e si conclude con le consegne dei rider delle compagnie di food delivery, le cui condizioni di lavoro, indegne e del tutto incompatibili con i principi base di prevenzione del contagio, sono tristemente note».

Un’iniziativa che sembra confermare il valore simbolico del rider in questa fase è quella che ha portato alla realizzazione dello spettacolo teatrale Consegne, da parte della compagnia Kepler-452. In un corto circuito di grande effetto, l’attore (impossibilitato a lavorare per la chiusura dei teatri) prende le sembianze del rider per consegnare uno spettacolo “a domicilio”. «Oggi il teatro, per avere credito e consistenza, deve uscire dal teatro – si legge ancora su Doppiozero –, un attore deve calarsi nel quotidiano e fingersi non Amleto ma un lavoratore fra i meno tutelati, un rider al soldo di una multinazionale. Effetto collaterale del precariato e delle retoriche da economia collaborativa, il risultato è una società in lockdown che deprime il lavoro al punto da rendere credibile, e legalmente possibile, questa iperbolica inversione di arte e realtà. Noi spettatori infatti siamo a casa, da soli, aspettiamo un attore che si spaccia per corriere del food indossando una divisa».

(Foto di Carl Campbell su Unsplash )

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