Con la legge sulla stampa, ancora una volta la nostra classe politica dimostra di non essere all’altezza del compito che è chiamata a svolgere. Da quando si è aperto il caso dell’allora direttore di Libero, Alessandro Sallusti, condannato al carcere per un articolo diffamatorio pubblicato sul suo giornale nel 2007, il problema delle sanzioni per questo tipo di reato è tornato a essere materia di studio in Parlamento. Ma purtroppo due sembrano essere le linee guida che muovono le nostre aule nella stesura del testo: il rancore e l’addomesticamento. Il primo verso tutte le volte che il giornalismo, quello ben fatto, ha portato alla luce i tanti scheletri che giacevano nell’armadio di partiti e politici. Il secondo è la conseguenza che si vuole ottenere, ossia l’accondiscendenza e il rispetto ossequioso.
La questione principale toccata dalla nuova legge dovrebbe essere l’eliminazione del carcere per i casi di diffamazione più gravi, in favore di pene pecuniarie. Si discute se fissare il tetto massimo di tali sanzioni a 100 o 50mila euro. Francesco Rutelli ha dichiarato che «occorre evitare che la “legge salva-Sallusti” diventi un via libera alla diffamazione facile; come si fa a confondere la pretesa di diffamare con il diritto di informare? In tutte le democrazie europee è previsto il carcere per le diffamazioni gravi, oppure sanzioni pecuniarie severe. Togliamo il carcere, salviamo Sallusti. Ma non passiamo a sanzioni ridicole: saremmo l’unico Paese che lo fa». In effetti anche nel resto d’Europa il reato di diffamazione prevede pene anche molto severe. Il carcere è previsto però solo in Spagna, e non è mai stato applicato dal ritorno della democrazia.
Intanto che si discute della questione, però, si coglie l’occasione per far passare altre misure. Come l’emendamento che vorrebbe triplicare le multe in caso di offesa di un Corpo dello Stato, sia esso politico, amministrativo o giudiziario. A quel punto parlare di “casta” riferendosi alla classe politica sarebbe già diffamazione. Ma allora sarebbe colpevole di diffamazione anche chi dice che la magistratura è schierata, che essa congiura contro qualcuno per seguire i propri interessi. Questo stesso articolo sarebbe ad alto rischio diffamazione con la nuova norma, soprattutto se non rispettasse l’obbligo, esteso alle testate online, a pubblicare la rettifica entro 48 ore in caso di segnalazione: basta una richiesta da parte del presunto diffamato, nessuna sentenza. L’autocensura, pratica già molto in voga nell’informazione italiana, prenderebbe ancora più piede.
E poi c’è un’osservazione molto interessante di Luigi Zingales, in un suo articolo del 19 ottobre per il Sole 24 Ore: «Quando un giornalista scrive eccessivamente bene di una società o di un imprenditore, chi gli fa causa? Mentre quando erra nella direzione opposta, rischia pene pecuniarie severissime. Corrado Formigli dovrà pagare 7 milioni di euro per aver “diffamato” la Fiat. Ma quale giornalista ha mai pagato per averne parlato falsamente bene? (e ce ne sono tanti)». Domande destinate a rimanere senza risposta. L’unica, vera speranza che abbiamo è che questa legge non si faccia. Restiamo ancorati a quella che c’è, e consegniamo alla prossima classe politica, se mai un vero ricambio ci sarà, il compito di riformare quella del 1948 attualmente in vigore.