Il Parlamento norvegese ha votato due settimane fa una legge che consentirà alle aziende di esplorare le sue acque territoriali alla ricerca di risorse minerarie. La decisione è un evento storico, perché la Norvegia è il primo Paese ad aprire la sua piattaforma continentale all’estrazione in acque profonde. Gli attivisti per l’ambiente sostengono che ciò comporterà danni irreparabili alla biodiversità degli oceani, e che la decisione del Parlamento potrebbe influenzare gli ecosistemi marittimi e le giurisdizioni più ampie per i prossimi decenni.

Come spiega un articolo su Wired, il governo norvegese sostiene che l’estrazione in acque profonde sia fondamentale per la transizione energetica mondiale, in quanto potrebbe aumentare di molto la fornitura di minerali come il cobalto e il rame, necessari per il passaggio alle fonti di energia elettrica. Gli ambientalisti sostengono che si tratti di greenwashing, perché l’estrazione in alto mare non solo sarebbe insostenibile, ma distoglierebbe l’attenzione dal riciclo dei minerali già disponibili.

La decisione, prosegue l’articolo, non dà il via libera alle attività di sfruttamento: per ora apre solo la strada all’esplorazione, che per sua natura è meno invasiva. Le aziende possono richiedere licenze di esplorazione, ma il governo norvegese dovrà ottenere l’approvazione del Parlamento per autorizzare qualsiasi piano di sfruttamento.

Una delle preoccupazioni è che questa iniziativa possa legittimare a livello globale lo sfruttamento minerario di acque profonde. Molti stati considerano infatti la Norvegia come un paese sostenibile nella gestione delle sue aree oceaniche, quindi ciò che la Norvegia fa in questo senso ha un peso.

Il governo norvegese ha riconosciuto di non poter essere certo che l’attività estrattiva sia sostenibile, il che ha irritato l’Agenzia norvegese per l’ambiente e l’Istituto di ricerca marina, che sostengono che la valutazione ambientale condotta prima della decisione fosse insufficiente.

Gli scienziati ritengono che l’impatto dell’attività estrattiva possa andare ben oltre il luogo in cui si svolge, scrive Wired. L’alterazione del fondale marino potrebbe infatti portare alla risalita di sedimenti, disturbando la vita marina in un’area di centinaia di chilometri.

Oltre all’impatto sulla vita marina, alcuni osservatori temono che la decisione della Norvegia potrebbe avere implicazioni geopolitiche. L’avvio dell’attività estrattiva nell’Artico aumenterebbe infatti la competizione internazionale per le risorse e cambierebbe le dinamiche della regione. Anche l’eventuale impatto sulle provviste ittiche è ancora da determinare.

Nel frattempo, la pressione sulla nascente industria mineraria in acque profonde sta aumentando a livello globale. 24 Paesi, tra cui Francia, Germania e Regno Unito, hanno chiesto una moratoria sull’estrazione in acque profonde fino a quando non saranno condotte ulteriori ricerche. Lo scorso novembre, inoltre, circa 120 membri del Parlamento europeo hanno firmato una lettera per denunciare l’imminente decisione della Norvegia di aprire i propri fondali marini.

L’UE ha chiesto un divieto temporaneo dell’industria fino a quando non saranno condotti ulteriori studi, e anche grandi aziende come Microsoft e Ford hanno preso posizione, dichiarando che non utilizzeranno materie prime estratte dalle profondità marine.

Di certo, conclude l’articolo, la decisione della Norvegia, per quanto controversa, ha contribuito ad aumentare la consapevolezza a livello globale sull’estrazione in acque profonde e sulla minaccia che essa rappresenta per il nostro futuro prossimo.

(Foto di Sime Basioli su Unsplash)

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