I titoli degli articoli di giornale sono un elemento centrale dell’informazione. Tuttavia, le scelte che molti giornali fanno sia sulla carta che sul web non sembrano orientate verso la precisione, l’affidabilità, la responsabilità. È un problema serio, perché per molte persone il titolo è l’unica cosa che leggeranno di un articolo. Se il titolo riporta un’informazione in maniera approssimativa, distorta, errata o falsa, contribuirà a creare lettori disinformati, che faranno scelte disinformate, il che non è un bene per il buon funzionamento della democrazia.

Ogni giorno si vede di tutto: virgolettati di cui poi non si trova traccia nell’articolo (e che probabilmente non sono mai stati pronunciati); leggi e decreti dati per approvati, quando nell’articolo si scopre che ancora non lo sono.; giochi di parole e calembour spinti all’eccesso per il gusto dell’estetica, a costo di risultare incomprensibili per chi non coglie i riferimenti o di forzare letture dei fatti che poco hanno a che vedere con la realtà, ecc.

Qualche tempo fa il periodico Wired ha scelto, come azione dimostrativa, di presentare per un giorno i propri articoli sul sito web senza titoli: «Sappiamo benissimo che i titoli sono fondamentali – ha scritto il direttore Federico Ferrazza –: aiutano i lettori a orientarsi, a scegliere cosa leggere. Quindi non vogliamo dare alcuna lezione di giornalismo. Ma per oggi privilegiamo la complessità delle questioni che affrontiamo. Ben consapevoli ovviamente che molto spesso è importante avere opinioni nette. […] Ma è importante che il giudizio sia consapevole e che arrivi quindi dopo un approfondimento». «Si sa che se l’articolo contiene tutte le informazioni utili per interpretare al meglio quella notizia – scrive Anna Masera, public editor della Stampa – con tutti i suoi chiaroscuri, il titolo per forza di cose, per mancanza di spazio, se non è calibrato con grande attenzione rischia di provocare un effetto boomerang». E aggiunge giustamente che nel caso frequente in cui il lettore, per i motivi più diversi, si fermi al titolo, «in base a quel titolo – e soltanto quello – siamo giudicati».

Le possibili spiegazioni del fenomeno

Nelle scorse settimane, diversi giornalisti e osservatori hanno detto la loro su questo fenomeno, dandone spiegazioni diverse. Secondo Ferrazza, dietro alle scelte delle versioni online dei giornali c’è soprattutto l’esigenza di generare traffico: «Gli slogan – come i titoli – spesso sintetizzano e banalizzano questioni complesse su cui i cittadini sono chiamati a farsi un’idea. A tutto questo vanno aggiunti i meccanismi tipici delle piattaforme social e del clickbaiting. Dietro ai pollici alzati, ai cuoricini e alle varie emoji c’è infatti un’enorme (e spesso dannosa) semplificazione delle discussioni che elimina quella complessità di cui sono fatti il mondo e le sue vicende».

Masera imputa la colpa ai flussi di lavoro frenetici delle redazioni online: «Il giornale di carta ha più tempo e più filtri del sito web. E, come già detto, sul web – dove si pubblicano centinaia di articoli al giorno da tutte le redazioni locali distaccate oltre a quella nazionale – accade che per la fretta e per la quantità di link da vagliare manchino i dovuti controlli e si cada sui titoli». Masera coglie alcuni aspetti importanti del problema, ma in questo caso ci pare un po’ troppo conciliante con la testata che rappresenta (e con il settore in generale). Se anche «Il giornale di carta ha più tempo e più filtri del sito web», non è che sulla carta i titoli siano sempre impeccabili. Su carta subentra poi un problema di spazi che talvolta impone scelte forzate o eccessivamente creative. Molte testate all’estero (e alcune anche in Italia) non si fanno troppi problemi a pubblicare titoli che occupano due righe, in modo da eliminare in parte il vincolo dello spazio. Ma la maggior parte delle testate italiane punta al titolo di poche parole e a effetto, e quindi le cadute sono facili. Inoltre non si capisce perché il sito web di un giornale dovrebbe avere meno filtri: si tratta pur sempre di lavoro giornalistico, con tutti i rigori e gli standard che questo comporta. Il solo fatto che un titolo (o un articolo) online si possa correggere facilmente non esime dall’effettuare tutti i controlli del caso prima di uscire.

Riccardo Luna, su Italian.Tech, coglie un punto importante facendo notare che «il tema non nasce con il digitale: di titoli esagerati e faziosi sono piene le collezioni di quotidiani, radio e tv. Ma con il web la situazione è indubbiamente peggiorata. Il motivo è evidente: il titolo “virale” o “acchiappa-clic” è una tentazione difficile da combattere eppure, come vedremo, è indispensabile farlo.

[…] Il problema secondo me nasce dal fatto che la maggior parte delle testate editoriali non ha ancora scelto chiaramente un modello “pay”, di contenuti a pagamento, ma, accanto agli abbonamenti, continua a perseguire un modello pubblicitario basato sul traffico, sul numero di utenti. Sui clic, da acchiappare. I giornali insomma cercano di competere nell’arena dei social network ma così ne assumono il linguaggio e i meccanismi snaturando sé stessi quando invece potrebbero provare a costruire un rapporto di lungo periodo con utenti in cerca di informazioni di qualità».

(Foto di Fabrizio Barbieri su flickr)

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