Sussidiarietà, giustizia sociale, efficienza. Queste le parole chiave nel dibattito in corso all’interno del terzo settore, che sulle pagine del settimanale Vita trova nuovi e continui spunti di riflessione. È stato Stefano Zamagni, presidente dell’Agenzia per il terzo settore, a lanciare, nei giorni scorsi, le sue provocazioni in merito, e a fare leva proprio su quei tre concetti. In particolare, secondo Zamagni, ha ormai fatto il suo tempo lo slogan “meno Stato, più società”, su cui il terzo settore ha costruito il suo processo di crescita, consolidato nel corso di un ventennio. E la nuova idea forte potrebbe essere quella di giustizia sociale. «Come si può star zitti di fronte allo scandalo di una forbice che continua ad allargarsi e accontentarsi di fare un po’ di redistribuzione? Se [il non profit] deve continuare a svolgere funzione profetica -come ha fatto- deve giocare d’anticipo. Oppure diciamocelo, che vogliamo solo conservare le posizioni, difenderle e fare al meglio ciò che già facciamo». Insomma, o cresce (meglio: diventa adulto), o il terzo settore sarà sempre più relegato in una posizione di marginalità. «Non può più essere solo “addivista”, ovvero un settore-nicchia che si aggiunge agli altri, ma deve diventare “emergentista”, cioè un settore che va a rompere le scatole agli altri. Il Terzo settore è nato additivista, “fai quello che non fanno gli altri”, ma oggi è troppo poco: tu devi andare a contaminare le logiche di azione degli altri soggetti».
Zamagni auspica che il terzo settore si candidi a custode del secondo welfare, ossia di «tutte le prestazioni che vanno oltre i Lea (livelli essenziali di assistenza sanitaria) e i Lep (livelli essenziali delle prestazioni). Esperienze ce ne sono già. Bisogna rilanciare il non profit produttivo. E in tutta Italia, non solo nelle tre regioni del triangolo magico. Perché il terzo settore redistributivo non basta, lasciamolo agli anglossassoni con le loro fondazioni: noi abbiamo inventato sette secoli fa quello produttivo. Perché gli inglesi hanno le obbligazioni di impatto sociale e noi no? Perché da noi qualcuno ha interesse che il nostro non profit sia elemosiniere, o solo redistributivo». Si affida poi a Platone e al suo Fedro per sottolineare l’importanza che il dilagante efficientismo non ceda il passo all’ingiustizia sociale in nome dei conti economici: «Il solco sarà dritto e il raccolto abbondante se i due cavalli marciano alla stessa velocità: l’efficienza è uno dei due cavalli ma non può correre da solo, l’altro deve essere la giustizia sociale. Mettere in antitesi la giustizia sociale e l’efficienza è il massimo dell’ignoranza». Gli fa eco, dalle stesse pagine, Franco Bomprezzi, che si ricollega e inveisce contro l’ultima manovra varata dal governo: «Efficienza affidata a criteri asettici di conti economici alla Tremonti, con tagli orizzontali, calcolati sui tabulati degli uffici, che sfornano cifre accattivanti, convincenti, irreprensibili. […] Efficienza come scelta della sussidiarietà intesa come formula magica del risparmio sociale, e meccanismo feroce di competizione al ribasso dei costi fra i nuovi poveri della cooperazione e delle società non profit».