Parole come idiota, stupido, o il francese bête hanno una storia che parte da molto lontano, prima di arrivare all’uso che ne facciamo nel linguaggio comune. Pietro Barbetta, Direttore del Centro Milanese di Terapia della Famiglia, ne traccia il percorso in un articolo uscito su Doppiozero, di cui riportiamo un estratto.

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L’idiota

Traduco “Idiot” con “Stupido” perché il termine “Idiot” ha una storia terribile e una storia gioiosa che all’epoca di Blake non possedeva ancora. La sua origine indica qualcosa che appartiene al particolare, inteso come disinteresse per la polis, in alcuni casi designa lo straniero, ma anche una persona chiusa, che non interagisce con gli altri. Blake sembra quasi ribaltare questa concezione: l’idiota è chi generalizza, il politico, per esempio.

L’uso di “idiota” in psichiatria non era conosciuto ai tempi di Blake e si accompagna con la vergognosa storia dell’uso razzista dei test sul quoziente intellettivo, designa infatti il cosiddetto “ritardo mentale”, una strategia per emarginare le minoranze: Italiani, Neri, Ebrei, Polacchi, Irlandesi, Gitani. Nel comune linguaggio infatti, “idiota” è insultante e spregiativo, come “negro”, “marrano”, “terrone”, “extracomunitario”.

Tuttavia c’è una tradizione che descrive l’idiota in tutt’altro modo, L’idiota di Fedor Dostoevskij (1821-1881) è il paradigma di questa tradizione. La si ritrova nei Racconti dei Chassidim di Martin Buber (1878-1965) e più in generale nella mistica, che attraversa differenti pratiche teologiche illustrate da diversi autori: da Gershom Scholem (1897-1982), in Le grandi correnti della mistica ebraica (per Einaudi) a Luciano Parinetto (1934-2001) in La piega mistica (per tysm).

Lo stupido

Il termine “stupido” ha una storia onorevole e spregevole nello stesso tempo. Sembra avere parentela con “stupore”, l’origine della filosofia, ma anche con “stupro”, il peggiore tra i gesti insieme all’assassinio: colpire (tupami) è l’origine indoeuropea. Quando il soggetto parla, l’altro usa l’indice per toccarsi la tempia, dietro le sue spalle, rivolgendosi al terzo. Ostensione che sta per “costui è tocco”, toccato; si usa per ridimensionare una dichiarazione, per fare negazionismo, per indicare che il soggetto dice il falso, per via della scempiaggine. Altrimenti lo si contrasterebbe direttamente, come un avversario. Lo stupido non è un avversario, è un soggetto sul quale non riporre stima, un folle, uno scriteriato.

Nelle pratiche discorsive cliniche, lo stupor è appena sopra il coma e lo stato vegetativo, ma le sue origini sono considerate psichiche, piuttosto che biologiche. La condizione di stupor, definita anche come stato di coscienza privo di consapevolezza, è tipica della catatonia. Sarà vero? Sta di fatto che lo stupor catatonico è quasi del tutto scomparso insieme alla scomparsa degli universi concentrazionari manicomiali.

La bête

Tuttavia i francesi possiedono una parola intraducibile: “bêtise”. Possiamo tradurre questo termine con “bestialità”? Non mi pare. Bêtise è intraducibile, ma si avvicina a una sfumatura di “stupidità”. Da noi si dice “somaro” o “asino”, ma anche “secchione”, che sembra l’opposto. Secchione è chi studia per avere successo a scuola, senza alcuna passione per la “materia”, ma è anche chi non ci sa fare. Nel tempo della mia infanzia l’asino poteva essere un bambino autistico, oppure ripetente perché terrone, emarginato, povero, che faticava a comprendere quello strano italiano impoverito e mal-pronunciato dei maestri e dei secchioni nordici. In quegli anni si respirava ancora aria di fascismo, per esempio i dialetti erano ancora banditi a scuola, non ufficialmente, per stupidità. Ricordo un episodio di bullismo ante litteram verso un bambino campano, di nome Angelino Stroppa (nome d’invenzione), preso in giro dai suoi stessi compaesani per avere il pelo rosso. Lo slogan denigratorio, adattato all’occorrenza, era simile al seguente: “Lino Stroppa tiene ‘a pummarola ‘n goppa!”; represso non in quanto atto di bullismo, ma per via dell’uso del dialetto. La stupidità, in questo caso, consisteva nell’incapacità di cogliere, dentro quel messaggio offensivo e crudele verso il piccolo Lino, le tracce della presenza normanna nelle zone più belle e colte d’Italia, un buon maestro ne avrebbe approfittato per raccontarla e spegnere gli animi.

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(Foto di Jordan Butler su Unsplash)