Uno dei progetti più “a effetto” del governo di Matteo Renzi fu l’introduzione del 2 per mille alla cultura. Ne parliamo al passato perché, dopo averlo trovato nella dichiarazione dei redditi dell’anno scorso, i contribuenti non lo ritroveranno in quella di quest’anno (attenzione: non c’entra niente col 5 per mille, quello rimane, anzi vi diamo un suggerimento). La misura era stata proposta nel 2015 (nella legge di stabilità 2016) insieme a un piano per la sicurezza nazionale, con uno slogan che diceva: «Per ogni euro in più investito in sicurezza, ci deve essere un euro in più investito in cultura». Per quanto riguarda quest’ultima, vi erano quattro aree d’investimento: periferie, bonus per i diciottenni, borse per il diritto allo studio e poi un fondo da 150 milioni di euro per destinare il 2 per cento dell’Irpef “alla cultura”.

Su ZeroNegativo avevamo espresso qualche perplessità in merito alla misura, ma tutto sommato non ci eravamo schierati in maniera troppo netta a favore o contro (in fin dei conti si può discutere a lungo dei principi e delle questioni tecniche, ma una misura va giudicata a consuntivo). Molto più critico era stato, nel corso di diversi articoli, il giornalista Carlo Mazzini, che sul suo blog aveva individuato soprattutto dei problemi nella definizione dell’oggetto (quali sono, esattamente, i contorni di una “attività culturale”?) e anche dei soggetti (ammesse le associazioni, non le fondazioni). Per quanto riguarda il primo, Mazzini faceva notare tra l’altro che «giustamente chi si è iscritto ha interpretato il significato di “attività culturale” della Treccani in senso lato, se è vero che si sono iscritti almeno: due centri indù; almeno un centinaio (quindi l’8 per cento degli iscritti) di Pro Loco; tra cori, bande e filarmoniche ne troviamo almeno 200 (16 per cento) cui vanno aggiunte altre associazioni musicali; non mancano neppure 13 associazioni sportive che evidentemente si dicono anche culturali (il culto del corpo!!!); poi c’è un’associazione di categoria che rappresenta gli architetti e gli ingegneri; ma si sono fatti avanti anche i professionisti del design e della comunicazione visiva».

Com’è ovvio, se le disposizioni sono vaghe, chi può ci prova. E infatti, nonostante il poco tempo a disposizione e la non molto articolata campagna pubblicitaria, ben 1.300 organizzazioni (tra associazioni e altri soggetti) riuscirono a iscriversi in tempo. Per le graduatorie di assegnazione ci sarà da aspettare: se i tempi di pubblicazione (e di erogazione) sono quelli del 5 per mille, se ne saprà qualcosa forse tra un anno. Ora, coerentemente, Mazzini si rallegra del fatto che il 2 per mille alla cultura non sia stato ripresentato. Non è dello stesso avviso il direttore di Vita, Giuseppe Frangi, che in un editoriale scrive: «Il due per mille è stato cancellato senza una spiegazione. Il che rappresenta una conferma di come la cultura alla fine sia sempre lo zimbello da usare secondo l’occasione. Quando invece il due per mille riconosceva giustamente l’importante funzione in termini di coesione sociale e di senso di appartenenza che la cultura dal basso con la sua vivacità sa garantire alla vita collettiva».

La questione è talmente “pasticciata” che facciamo fatica a prendere una posizione ben definita: potrebbero avere ragione entrambi. Ciò che possiamo osservare senza dubbio è che questa vicenda testimonia la grande farraginosità di certe “campagne” di governo che durano lo spazio di una stagione (televisiva). Dopo l’8 per mille (alla chiesa, ecc.), il 5 per mille (al volontariato, ecc.), il 2 per mille (ai partiti), la scelta di introdurre un altro “per mille” è l’ennesima mossa di una politica che purtroppo ha poche idee. Peraltro, il secondo degli strumenti appena elencati (il 5 per mille) contiene già la casella “cultura” tra le opzioni di donazione. Per il contribuente la dichiarazione (già fonte d’ansia di per sé, comprensibilmente) rischia di diventare un quiz sempre più confuso. Col rischio, tra tante scelte, di determinare la non-scelta, quindi rinunciando a impiegare fondi già stanziati. Probabilmente i motivi per gioire e per rammaricarsi della non reiterazione del 2 per mille alla cultura si equivalgono. Forse si tratta di un’idea nata male e realizzata peggio, con la sola finalità di guadagnare consensi tra i cittadini. In generale, comunque, se davvero si vuole valorizzare la cultura, non la si tratta così.

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