Da diversi anni è sempre più difficile parlare del 25 aprile senza parlare della polemica sul 25 aprile. Non importa quale, ce n’è sempre una, man mano che si avvicina la data. E anche se non la si nomina, la polemica, tutti pensano che ci si riferisca a quella, anche quando si parla d’altro. Probabilmente sta succedendo anche mentre leggete questo articolo.

E invece vorremmo proprio andare oltre, facendo nostra la domanda che si pone Francesco Memo in un articolo su Doppiozero: “Possiamo immaginare l’Italia senza il 25 aprile? Possiamo rinunciare alla celebrazione di questo momento di riscatto politico-morale e della pace ritrovata, al ricordo vivo di questa insurrezione popolare che dopo l’umiliazione del fascismo ha permesso di riappropriarsi del futuro, della speranza in una Italia “nuova”, “altra”, diversa e migliore? E se sfrondiamo l’albero dell’antifascismo dalla retorica che gli si è depositata addosso, cosa ritroviamo?”.

Sfrondare quell’albero significa passare dal racconto della Storia a quello delle storie delle persone che a diverso titolo hanno fatto la Resistenza, con i gesti, con il corpo, ancor prima che con i principi. Memo nel suo articolo cita il libro Storie di antifascismo senza retorica, di Max Collini e Arturo Bertoldi. Riprendiamo una di queste storie, quella della partigiana Laura Polizzi, detta Mirka, così come raccontata da Bertoldi.

“Ho capito che avremmo vinto quando ho visto disfare il primo materasso per recuperare la lana e trasformarla in un maglione per un partigiano. In quella casa fredda, tra donne che non conoscevo, ho capito che era solo questione di tempo e che quelle dita non si sarebbero fermate mai più. Sono Laura Polizzi, figlia di Secondo. Tutti però mi conoscono come Mirka. Partigiana combattente. Parlo anche per quelle tre donne: per Kira, Bianca, Volontà e per tutte quelle di cui non ricordo il nome. Eravamo così tante che forse non basta la mia lunga vita per accoglierle tutte. Dopo i maglioni sono venuti i guanti e dopo i guanti il cibo e dopo il cibo il rifugio durante i rastrellamenti. La guerra non si vince solo con le armi. I tedeschi e i fascisti lo sapevano bene. Ma c’era qualcosa di più forte del terrore e dei rastrellamenti e tutti sappiamo com’è finita. Noi non ci siamo fermate ai guanti. Abbiamo combattuto con le armi. E pensate che ancora qualcuno si stupisce. Come quel colonnello, quando si è visto davanti una commessa che gli chiedeva di consegnare le armi agli antifascisti. Quella commessa ero io.

Avevo diciannove anni e il giorno prima ero salita sul monumento di Garibaldi a Parma per invitare le ragazze e i giovani alla lotta armata. Era l’8 settembre 1943 e noi avevamo capito subito che la guerra non era per niente finita. Non ci poteva essere pace con i tedeschi e i fascisti nelle nostre città. Noi volevamo la libertà. Mica la sognavamo. La volevamo e basta. Con ogni mezzo necessario. E ci siamo riuscite. E se ci sarà sempre qualche uomo che si stupirà, noi sappiamo che troverà sempre una Kira, una Bianca o una Mirka sulla sua strada. Quelle dita non si sono davvero mai fermate”.

Laura Polizzi (Parma, 30 settembre 1924 – 22 gennaio 2011) è stata tra le prime donne a entrare nella Resistenza. Ha sempre avuto presente che la lotta antifascista era anche la lotta per l’emancipazione femminile. Ha svolto attività clandestina nei Gruppi di difesa della donna ed è stata vice-commissaria delle Brigate Garibaldi nel reggiano. Nel dopoguerra ha continuato senza sosta il suo impegno politico.

(Foto di Linda Vignato su flickr)

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