Da fine luglio si hanno notizie di persone migranti provenienti dall’Africa subsahariana che vengono arrestate dal governo tunisino e deportate nel deserto che si trova al confine tra Libia e Tunisia. A volte si tratta anche di migranti regolari, i cui documenti vengono distrutti dalle autorità tunisine. Questi gravissimi casi di violazione dei diritti umani rendono ancora più controversa la firma, avvenuta il 16 luglio, di un memorandum d’intesa tra Unione europea e Tunisia. L’accordo verte su cinque pilastri, uno dei quali è proprio la cooperazione nella gestione delle migrazioni. In cambio del suo impegno a impedire le partenze verso l’Europa (e quindi verso l’Italia, data la prossimità geografica tra le coste dei due paesi), la Tunisia riceverà un prestito di 900 milioni di euro, più due contributi a fondo perduto: 150 milioni di euro come contributo al bilancio nazionale, 105 milioni di euro per impedire le partenze delle imbarcazioni di migranti. Il prestito è vincolato a una serie di riforme che la Tunisia dovrà approvare in accordo con il Fondo monetario internazionale (che garantirà un ulteriore prestito da 1,7 miliardi di euro), mentre i due contributi a fondo perduto non hanno vincoli particolari.

Tutto questo sembra riprodurre la strategia adottata dall’Italia con la Libia, con la quale nel 2017 era stato firmato un accordo simile, sempre con lo strumento del memorandum, che non obbliga al passaggio parlamentare per la sua approvazione e garantisce il segreto sui contenuti.

L’Unione europea dunque non rinuncia al suo approccio volto a impedire le partenze e attuare i rimpatri, nonostante questo abbia già causato situazioni umanitarie disastrose.

Come scrive l’Associazione per gli studi giuridici sull’immigrazione (Asgi), «La firma dell’accordo arriva a convalidare l’operato delle autorità tunisine degli ultimi mesi. Il razzismo istituzionale, che attinge anche alle teorie della cosiddetta sostituzione etnica, si è concretizzato in gravi violazioni dei diritti fondamentali da parte delle autorità:

  • Violenze, rastrellamenti e arresti sommari contro la popolazione di origine subsahariana, che è stata sottoposta a feroci attacchi, anche da parte della popolazione, rimasti impuniti.
  • La deportazione illegale di centinaia di persone di origine subsahariana nelle zone militari di confine con la Libia e con l’Algeria, dove ? migranti sono irraggiungibili dalle organizzazioni della società civile e dalle organizzazioni umanitarie e dove rischiano inoltre di essere sottopost? a ulteriori violenze.

I tentativi di fuga delle persone migranti dal paese sono ostacolati da una rafforzata Guardia Costiera tunisina, largamente finanziata ed equipaggiata dall’Italia e dall’Ue, che negli ultimi mesi ha incrementato l’attività di monitoraggio delle partenze e le intercettazioni in mare. Sono numerose le testimonianze che descrivono modalità di intercettazione e riconduzione a terra violente e pericolose da parte della Guardia costiera. Il furto dei motori a imbarcazioni poi lasciate alla deriva, l’esecuzione di manovre intorno alle imbarcazioni per provocare onde e bloccarne la navigazione, l’uso di gas lacrimogeni durante le intercettazioni, sono alcune delle pratiche che hanno in alcuni casi provocato la morte delle persone a bordo».

Come sottolinea l’Asgi, finanziare la guardia costiera tunisina significa di fatto costringere i migranti a rientrare in un paese che non può assolutamente essere considerato sicuro, impedendo loro di fare domanda per il diritto di asilo come previsto dai trattati internazionali.

Si tratta di una situazione molto grave, che ripropone politiche e retoriche vecchie e inefficaci, oltre che contrarie alla tutela dei diritti umani. Ci auguriamo che le parti in campo ripensino le proprie posizioni, al fine di evitare ulteriori sofferenze.

(Foto di Dimitris Panagiotaras su Unsplash)

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