Quasi sei mesi dopo che i ricercatori sudafricani hanno identificato la variante omicron del coronavirus, due ramificazioni di questo ceppo virale stanno nuovamente causando un’impennata dei casi di COVID-19 nel Paese.
Diversi studi pubblicati a inizio maggio, si legge su Nature, mostrano che le nuove varianti, note come BA.4 e BA.5, sono leggermente più trasmissibili delle forme precedenti di omicron e possono eludere parte della protezione immunitaria data da precedenti infezioni e vaccinazioni.
Non è ancora chiaro se BA.4 e BA.5 causeranno un picco di ospedalizzazioni in Sudafrica o altrove. Gli alti livelli di immunità della popolazione potrebbero attenuare gran parte degli effetti associati alle precedenti varianti del SARS-CoV-2.
Inoltre, l’aumento di BA.4 e BA.5 potrebbe significare che le ondate di SARS-CoV-2 stanno iniziando a stabilizzarsi in schemi prevedibili, con nuove ondate che emergono periodicamente dai ceppi circolanti.
Sequenziando alcuni campioni, spiega Nature, un gruppo di ricercatori ha scoperto che BA.4 e BA.5 sono emerse rispettivamente a metà dicembre 2021 e all’inizio di gennaio 2022. Da allora la prevalenza delle due varianti è aumentata e attualmente rappresentano il 60-75 per cento dei casi di COVID-19 in Sudafrica. Le varianti sono state identificate anche in diversi altri paesi, soprattutto in Europa.
Sulla base dell’andamento dei casi di BA.4 e BA.5 in Sudafrica, gli scienziati stimano che queste si stiano diffondendo più velocemente della sotto-variante BA.2 di omicron (che a sua volta era un po’ più trasmissibile di BA.1). Si tratta in questo caso di uno studio ancora sottoposto a revisione paritaria.
Ciò che non è ancora chiaro è cosa renda queste sotto-varianti più trasmissibili. In esperimenti di laboratorio, si è visto che gli anticorpi di persone già immunizzate da varianti precedenti erano molto meno efficaci nel prevenire l’infezione da parte di BA.4 o BA.5 rispetto al ceppo originale di omicron. Tuttavia, gli anticorpi prodotti da persone vaccinate erano più forti contro le nuove varianti rispetto a quelli prodotti da persone la cui immunità derivava esclusivamente dall’infezione da BA.1.
La capacità di BA.4 e BA.5 di sfuggire all’immunità, sebbene definita dagli scienziati “non eccezionale”, secondo alcuni è sufficiente a portare a una nuova ondata di infezioni, ma è improbabile che le nuove varianti causino malattie più gravi di quelle osservate durante l’ultima ondata.
Sebbene siano state individuate in diversi Paesi europei e in Nord America, è quindi possibile che le nuove sotto-varianti non scatenino una nuova ondata di COVID-19, almeno nell’immediato. La variante BA.2, strettamente correlata, ha appena attraversato l’Europa, quindi l’immunità della popolazione potrebbe essere ancora elevata.
Se il SARS-CoV-2 continua su questa strada, si legge ancora su Nature, la sua evoluzione potrebbe somigliare a quella di altre infezioni respiratorie, come l’influenza. In questo scenario, le mutazioni immunitarie nelle varianti circolanti, come omicron, potrebbero combinarsi con i cali di immunità della popolazione e diventare i fattori chiave delle ondate periodiche di infezione.
Le varianti precedenti, tra cui alpha, delta e omicron, differivano in modo sostanziale dai loro predecessori ed erano tutte emerse da rami distanti dell’albero genealogico della SARS-CoV-2.
Non si possono però escludere altre sorprese da parte del SARS-CoV-2, affermano i ricercatori. Delta non è scomparsa del tutto e, con l’aumento dell’immunità globale verso omicron e la sua famiglia, potrebbe farsi largo un discendente di delta. Qualunque sia la loro origine, le nuove varianti sembrano emergere all’incirca ogni sei mesi e ci si chiede se questa sia la periodicità su cui le prossime epidemie di COVID-19 si stabilizzeranno. Bisogna però essere cauti, avvertono gli scienziati, nello stabilire regole generali da un periodo di osservazione così breve.
(Foto di JINZHOU LIN su Unsplash)
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