Agli inizi della pandemia di COVID-19, il rischio di morire a causa della malattia era circa il doppio per le persone che vivevano nei Paesi a basso reddito rispetto a quelle che vivevano nei Paesi ricchi, secondo uno studio pubblicato su BMJ Global Health a maggio.

I dati relativi alle prime fasi della pandemia sembravano indicare che i tassi di mortalità e infezione nei Paesi poveri fossero relativamente bassi rispetto a quelli ricchi. Ma analisi più recenti disegnano un quadro molto diverso. Per valutare il peso della COVID-19, spiega Nature, gli autori dello studio hanno analizzato i dati relativi alle infezioni e alla mortalità raccolti da decine di studi in 25 Paesi a basso e medio reddito prima che i vaccini contro il coronavirus venissero introdotti in quelle regioni. Tra aprile 2020 e febbraio 2021, i ricercatori hanno raccolto campioni di sangue da persone di varie fasce d’età e hanno cercato gli anticorpi contro il SARS-CoV-2, segno che la persona era stata infettata in precedenza.

Nei Paesi ricchi gli individui più anziani, più vulnerabili alla malattia, avevano meno probabilità di essere stati infettati rispetto ai giovani. Ma gli autori hanno scoperto che, nella maggior parte dei Paesi a basso reddito, la percentuale di adulti oltre i 60 anni che avevano anticorpi contro il coronavirus era simile a quella dei giovani. Ciò è probabilmente dovuto al fatto che molte persone in questi Paesi vivono in famiglie multigenerazionali, il che rende difficile l’isolamento da una persona infetta. Inoltre, molte persone in questi luoghi non avevano la possibilità di lavorare da casa.

Il team di ricerca ha calcolato i tassi di mortalità per infezione dei Paesi, ovvero la percentuale di persone infette che muoiono a causa della malattia, comprese quelle che non si sono sottoposte al test o non hanno manifestato sintomi. Il tasso medio di mortalità per infezione dei ventenni nei Paesi a basso reddito era quasi tre volte superiore a quello dei Paesi ricchi, e i sessantenni avevano un rischio di morte quasi doppio rispetto a quello dei Paesi ricchi. Secondo uno degli autori, questa netta differenza di rischio è probabilmente dovuta al fatto che le persone nei Paesi a basso reddito hanno minore accesso a un’assistenza sanitaria di buona qualità.

Con la disponibilità dei vaccini COVID-19, il divario di mortalità tra paesi a basso e alto reddito potrebbe essersi ridotto, sostiene l’articolo. Ma potrebbe anche essersi allargato, perché molte nazioni più povere hanno ancora un accesso limitato ai vaccini. Quando i vaccini sono stati approvati, i Paesi ricchi ne hanno fatto incetta, aggravando il divario di equità vaccinale tra Paesi ricchi e poveri.

I risultati evidenziano come le nazioni ad alto reddito non siano riuscite ad assistere adeguatamente i Paesi a basso reddito durante la pandemia. “È deprimente”, ha detto uno dei ricercatori.

I dati confermano anche l’urgenza di vaccinare le persone nei Paesi a basso e medio reddito. Solo il 16 per cento delle persone nei Paesi a basso reddito ha ricevuto almeno una dose di vaccino anti COVID-19, rispetto all’80 per cento dei Paesi ricchi, si legge ancora su Nature.

Ma c’è chi teme che per i Paesi più poveri sia ormai troppo tardi per ottenere dosi sufficienti a vaccinare la maggior parte della popolazione, perché le nazioni ricche hanno iniziato a tagliare i finanziamenti per i programmi di aiuto internazionale legati al COVID-19. Dinamiche simili si sono già verificate in passato con altre malattie infettive come la malaria, la tubercolosi e l’AIDS, che un tempo erano una seria minaccia nei Paesi ricchi. «Nel momento in cui queste malattie hanno smesso di essere una minaccia, ce ne siamo completamente dimenticati, abbiamo fatto finta che fossero finite – fa notare uno dei ricercatori –. E dove sono ora? Nel Sud del mondo, a continuare a infettare e uccidere».

(Foto di Ewien van Bergeijk – Kwant su Unsplash)

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