La pandemia ha spostato le priorità della comunità scientifica, togliendo spazio alla ricerca di base e ad altre aree della ricerca biomedica importanti per la salute. Un articolo di Chiara Sabelli su Scienza in rete.

L’ageusia, la perdita del gusto, era un argomento di nicchia nella ricerca biomedica fino a gennaio 2020. PubMed, il database curato dai National Institutes of Health statunitensi che raccoglie le pubblicazioni in ambito medico e biologico di tutta la comunità scientifica internazionale, ne contava circa 9 nel 2018 e 7 nel 2019. Lo scoppio della pandemia ha cambiato le cose e nel 2020 gli articoli riguardanti questa patologia sono stati 176. Lo stesso è accaduto per la quarantena, circa 700 pubblicazioni sul tema nel 2018 e 2019 e 3 500 nel 2020, o per le mascherine, 470 nel 2018, 684 nel 2019 e oltre 2.000 articoli nel 2020. Ma all’ascesa di ageusia, quarantena e mascherine, insieme ad altri argomenti di ricerca legati a Covid-19, è corrisposta una contrazione dell’attenzione dei ricercatori verso quelli non legati alla pandemia.

Tra il 2019 e il 2020 Il numero di pubblicazioni su temi non affini a Covid-19 è diminuito quasi del 10%, e la contrazione è ancora più marcata se si pesa il numero di pubblicazioni con l’impact factor delle riviste che le hanno ospitate: il 16%. Il numero di pubblicazioni fortemente affini a Covid-19 è invece aumentato più di 6 volte tra il 2019 e il 2020. Un impatto simile si vede anche sulle pubblicazioni legate a trial clinici e a finanziamenti di ricerca, un segnale, seppure indiretto, che la pandemia ha provocato la sospensione o il rallentamento degli studi clinici dedicati ad altre patologie e il dirottamento dei fondi.

Questo è il quadro che emerge da un’analisi quantitativa condotta da Massimo Riccaboni, professore di economia all’IMT di Lucca e Luca Verginer, ricercatore post-doc all’ETH di Zurigo, pubblicata la scorsa settimana sulla rivista PLOS ONE. I due scienziati hanno classificato gli oltre tre milioni e mezzo di articoli scientifici archiviati su PubMed tra il 2019 e il 2020 secondo la loro affinità con Covid-19, dividendoli in tre categorie: non collegati alla pandemia, mediamente collegati e altamente collegati. Per farlo hanno usato una serie di parole chiave chiamate MeSH (Medical Subject Headings) con cui vengono annotati gli articoli contenuti nel database, anche se con un certo ritardo rispetto alla data di pubblicazione. Per ovviare a questo ritardo gli autori hanno ottenuto da PubMed la lista completa delle parole chiave e hanno cercato ciascuna di esse nei titoli e negli abstract delle pubblicazioni più recenti che non erano ancora state annotate. Questa procedura ha dei margini di errore, perché normalmente i MeSH vengono attribuiti manualmente agli articoli e questo ne garantisce la maggiore affidabilità. Tuttavia, gli autori ritengono che la procedura sia sufficientemente accurata da produrre una classificazione accettabile degli articoli.

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(Foto di Ousa Chea su Unsplash )

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