Del ddl Zan probabilmente sentiremo parlare ancora nei prossimi giorni. Ma in Parlamento, e in particolare al Senato, non se ne discuterà per almeno sei mesi. Dopo il voto con la procedura denominata in gergo “tagliola”, che ha determinato il “non passaggio all’esame degli articoli” del disegno di legge, il regolamento dell’aula prevede infatti che non sia possibile ripresentare un disegno di legge sostanzialmente uguale a quello bocciato se non dopo almeno sei mesi.
Ci stiamo riferendo, è bene ricordarlo, a una legge che puntava ad ampliare la cosiddetta “legge Mancino”, aggiungendo alle discriminazioni per razza, etnia e religione quelle per sesso, genere, orientamento sessuale, identità di genere e disabilità. Voleva insomma essere un’opportunità per garantire ulteriori tutele a categorie di persone che si trovano in un’oggettiva situazione di fragilità. Categorie che sono già oggi protette dal nostro ordinamento, sia chiaro. Forse è il caso di specificare che, ora che il ddl Zan è stato affossato, non è improvvisamente diventato lecito insultare una persona in quanto gay, trasngender, disabile, ecc. Con quella legge lo Stato avrebbe dimostrato a tutte le persone che affrontano episodi spiacevoli e discriminatori dovuti all’appartenenza a tali categorie un’attenzione particolare, un surplus di protezione e cura, senza per questo discriminare nessun altro.
C’è chi sostiene che la legge avrebbe “limitato la libertà di espressione”, come se l’insulto e la discriminazione fossero un diritto fondamentale. E come se quello dei diritti fosse un gioco a somma zero, in cui se estendi dei diritti a delle persone li stai necessariemnte togliendo a qualcun altro. A nessuno sarebbe stato vietato di essere omofobico, né di esprimere questa sua opinione. Ma gli si sarebbe detto “pensala pure come vuoi, ma lo Stato, la società civile, il mondo, vanno da un’altra parte. E se dalla legittima espressione del tuo pensiero passi all’insulto, paghi con l’aggravante”.
La dimostrazione che lo Stato, come spesso accade, è in ritardo rispetto alla società, è data da sondaggi come quelli diffusi il 27 ottobre da YouTrend, dove si vede come il 62 per cento della popolazione fosse favorevole alla legge a luglio 2021.
Per carità, poteva non essere una legge perfetta, né la migliore possibile, e infatti numerosi interventi correttivi erano già stati integrati in occasione della votazione alla Camera. Forse ha ragione chi sostiene che non ci fosse più margine per trattare sulla legge senza snaturarla e svuotarla di senso ed efficacia. E allora meglio andare “all in” e tentare il tutto per tutto. Ma in un contesto polarizzato e litigioso come quello attuale, forse una strategia più raffinata avrebbe giovato.
Chi pensava di non dovere discutere oltre, certo di avere “i numeri” per “tirare dritto”, ha evidentemente fatto male i propri conti. Chi invece sosteneva di voler negoziare ulteriormente sui contenuti della legge ha poi chiesto l’applicazione della tagliola, che è la negazione della negoziazione. E poi ha esultato quando la richiesta è stata approvata, in maniera piuttosto contraddittoria con la dichiarata intenzione di dialogo.
Il pessimo spettacolo a cui ci riferiamo nel titolo, si sarà capito, è proprio quello dei partiti politici descritto fin qui. Da un lato, i promotori della legge si sono dimostrati pessimi strateghi nella gestione delle trattative e delle alleanze. Dall’altro, i suoi detrattori hanno esultato di fronte al proprio riuscito tentativo di non allargare tutele a persone in stato di vulnerabilità.
Ognuno è ovviamente libero di farsi la propria idea su chi dei due schieramenti abbia offerto uno spettacolo “più pessimo” dell’altro. Di certo vedere un’importante discussione sui diritti civili venire meno per calcoli politici è un fatto che lascia amareggiati. Le associazioni e la società civile hanno dato subito un segnale che lascia ben sperare, con manifestazioni molto partecipate a Roma e Milano il cui messaggio di fondo è stato “non finisce qui”.
(Foto di by Pawel Czerwinski su Unsplash )
Col sangue si fanno un sacco di cose
Le trasfusioni di sangue intero sono solo una piccola parte di ciò che si può fare con i globuli rossi, le piastrine, il plasma e gli altri emocomponenti. Ma tutto dipende dalla loro disponibilità, e c’è un solo modo per garantirla.