Il governo ha stanziato somme notevoli per sostenere la ripresa economica, destinando fondi a diverse categorie di persone. Tra queste però non ci sono interventi rivolti direttamente ai giovani, che in Italia da sempre stentano ad affrancarsi dal supporto delle famiglie. Come fa notare un articolo a firma di Orizzonti Politici uscito su Lavoce.info, «Tra le 464 pagine di decreto, la parola “giovani” compare solo alla sezione di investimenti sull’istruzione e la ricerca, che prevede 1,5 miliardi per tutto il comparto. Per salvare Alitalia è stato speso il doppio, 3 miliardi. Niente sgravi per gli affitti degli studenti fuori sede, nessuna misura per tutelare lo stage o i contratti di apprendistato, disegnati per integrare i giovani nel mondo del lavoro». Considerando che i giovani italiani erano in una situazione più grave rispetto ai loro coetanei negli altri paesi europei già prima della pandemia, questo è ancora più sorprendente: «il tasso di disoccupazione giovanile in Italia era del 28,9 per cento nel 2019, contro il 14,2 per cento della media Ue».

La dipendenza dalle famiglie

La crisi innescata dalla pandemia di coronavirus si innesta su un problema cronico dei giovani italiani, ossia la diffusa dipendenza dalle famiglie. «Secondo uno studio della Gallup Organization, società di public advisory americana, nel 2007 il 50 per cento dei giovani italiani tra i 15 e i 30 anni ha dichiarato di essere finanziariamente dipendente dalla propria famiglia. Il dato è ancora più incredibile se comparato agli altri stati europei: siamo il paese con la più alta percentuale di giovani che ha bisogno di un sostegno economico familiare. In Danimarca e in Svezia solo il 5 e il 6 per cento, rispettivamente, ha dichiarato di dipendere finanziariamente dai propri genitori». Paragonarsi ai paesi del Nord Europa può dare un’impressione falsata, data la tendenza di questi ultimi a viaggiare su altri ritmi di sviluppo e organizzazione. Ma anche confrontando il dato italiano con paesi più simili al nostro lo scostamento è evidente. «In Francia i giovani che hanno dichiarato di ricevere la maggior parte delle loro entrate dai genitori sono il 30 per cento, in Germania il 26 per cento. Perfino Madrid e Atene, che da sempre ci fanno compagnia nel fondo di queste speciali classifiche, hanno un dato più basso del nostro: sono a carico dei loro genitori in Spagna il 34 per cento e in Grecia il 49 per cento dei giovani tra i 15 e i 30 anni».

Legami più stretti

La dipendenza economica è anche lo specchio di un legame affettivo più stretto all’interno delle famiglie italiane, che ha un impatto positivo sulla qualità della vita dei giovani in generale. «Il tasso di suicidi tra i giovani dai 15 ai 19 anni in Italia è di 2,11 ogni 100mila abitanti, in Norvegia di 10,13 (dati Eurostat per il 2016). È un semplice dato, ma molti studi hanno dimostrato il fil rouge che lega la cultura della famiglia al benessere psicofisico. Non esiste però solo bianco o nero: i giovani spagnoli e francesi hanno un tasso di suicidi simile a quello italiano, pur avendo una minor dipendenza dalle loro famiglie». Le misure di aiuto tendono spesso ad andare a favore dei membri più anziani della famiglia, perpetrando anche in questo caso la dipendenza da questi ultimi da parte dei giovani. È lo Stato stesso a “incaricare” le famiglie di occuparsi dei loro membri più giovani. «Quota 100, ad esempio, agevola il pensionamento anticipato di certe categorie di lavoratori. Introdotto dal governo giallo-verde nel 2019, è costata alle casse pubbliche italiane 5,2 miliardi, avvantaggiando una categoria, quella dei baby-boomer, i figli del boom economico, che ha un peso politico e un ruolo all’interno della famiglia più importante di quello dei giovani».

(Foto di Christian Dubovan su Unsplash)