Durante il picco di diffusione del coronavirus, tra marzo e aprile, tutti gli interventi chirurgici non urgenti sono stati rimandati. Diversi reparti ospedalieri sono stati ridimensionati o chiusi per fare spazio ai pazienti ricoverati con sintomi da Covid-19. Inoltre molte persone, per timore di entrare in contatto con il virus, hanno semplicemente evitato di andare in ospedale, trascurando quindi disturbi di qualunque tipo. È possibile per esempio che molti pazienti abbiano trascurato problemi cardiovascolari, proprio per evitare di rivolgersi a strutture sanitarie già sature durante il picco del contagio. Il 28 marzo, l’Ansa riportava la stima di Americo Cicchetti, direttore dell’Alta Scuola di Economia e Management dei Sistemi Sanitari dell’Università Cattolica di Roma, secondo cui entro la fine di giugno il sistema ospedaliero si ritroverà con un milione di ricoveri rimandati, di cui 510 mila per interventi chirurgici. Ecco come veniva descritta la situazione due mesi fa: «In neurochirurgia ora si fanno pochissimi interventi, quasi essenzialmente per tumore al cervello. In gastroenterologia sono fermi tutti gli interventi tranne quelli ad esempio per tumore al colon-retto. Stop alle protesi d’anca, agli interventi al ginocchio, alle operazioni chirurgiche per togliere nei, a meno che non siano pericolosi, e a quelle per vene varicose». La previsione di Cicchetti era piuttosto preoccupante: «Nei mesi successivi alla fine della pandemia avremo una grande pressione sull’attività ospedaliera, che vedrà come minimo raddoppiare o triplicare i tempi delle liste d’attesa. E la coda in termini organizzativi si protrarrà per tutto il 2020 e anche oltre». Ed eccoci qui, non proprio alla fine della pandemia ma nella famigerata fase di convivenza con il virus, quando la vita del paese sta tornando faticosamente a qualcosa di simile alla normalità. Il fatto che Cicchetti avesse ragione è purtroppo confermato dalle notizie che arrivano da diverse parti d’Italia. Basta fare una ricerca sui siti di notizie locali per farsi un’idea.
Alcuni esempi
A Copertino, in provincia di Lecce, «non si riescono ad eseguire i controlli come Tac torace, esami del sangue e visite di controllo sui pazienti Covid dimessi – ha detto Giuseppe Mancarella, segretario provinciale del Cobas –. I reparti riaperti con tante limitazioni, tra cui posti letto dimezzati e la cronica assenza di primari, sono solo un regalo alle vanitose aspirazioni dei politici». In Sicilia si parla di nuovi protocolli per gestire «tutti quei cittadini che in questi due mesi di chiusura per il Covid hanno dovuto convivere con una patologia [e che] adesso cercheranno al più presto di vedere soddisfatte le loro richieste di visita o interventi. Ma le operazioni rinviate e le prestazioni ambulatoriali ancora in sospeso negli ospedali siciliani sono decine di migliaia». Alla Asl di Arezzo si sperimentano aperture straordinarie anche la sera e la domenica per smaltire l’arretrato: «All’inizio della fase 2, quando piano piano siamo usciti dai mesi di emergenza Covid, le prestazioni ambulatoriali sospese erano 23.554». Una strategia che sembra stia dando buoni risultati, visto che sono state erogate 12.201 prestazioni. Giuseppe Curigliano, direttore della Divisione nuovi farmaci allo Ieo (Istituto europeo di Oncologia) di Milano, ha spiegato che probabilmente, nei prossimi mesi, ci troveremo di fronte a un numero più grande di casi di tumori avanzati, meno curabili e meno guaribili, proprio a causa di ritardi o sospensioni delle attività di screening, che hanno come obiettivo di intercettare i tumori quando sono all’inizio. Un appello firmato da diverse associazioni sottolinea l’importanza dell’«anticipazione diagnostica del tumore al seno – affermano – è la prima strategia per ottenere le maggiori probabilità di guarigione: se si vuole salvaguardare la sopravvivenza delle oltre 53.500 donne che ogni anno si ammalano in Italia, lo screening mammografico e le attività della diagnostica senologica devono riprendere al più presto a pieno regime su tutto il territorio nazionale». A queste situazioni e preoccupazioni, si aggiungono problemi strutturali dei sistemi ospedalieri in molti territori. Su tutti la carenza di anestesisti, come si legge sulla Tribuna di Treviso, ma lo stesso avviene per esempio in provincia di Frosinone, così come altrove.
Responsabilità
È una carrellata parziale, ma comunque preoccupante. Chi si prenderà la responsabilità di ciò che non è stato fatto in tutti questi anni per potenziare un sistema sempre più indebolito da tagli e riduzione del personale? Un rapporto della Corte dei conti denuncia un fatto molto grave, ma purtroppo non nuovo in Italia: molte delle risorse destinate alla sanità restano bloccate per questioni burocratiche. Secondo le stime della Corte «il fabbisogno attuale( per rinnovare il parco sanitario italiano è di 32 miliardi». La disponibilità attuale è di circa 22 miliardi, ma circa la metà sono ancora fermi per diversi motivi (Regioni che non presentano progetti, problemi realizzativi, ecc.). Alla luce di tutto questo, siamo proprio sicuri che anche prima della pandemia fossimo in una situazione di “normalità”?
(Foto di Martha Dominguez de Gouveia su Unsplash)