“Il processo di scelta di un capo da viaggio ha una strutturazione narrativa poiché riguarda da vicino un’esperienza di vita, in ogni sua fase trasformativa e organizzativa”. Una divertente analisi delle scelte del turista in termini di guardaroba, uscita su Doppiozero.

Da quando il tandem Birkenstock e calzino è stato assorbito dal sistema moda, il turista ha dovuto riscrivere il dress code del brutto ma comodo. Viaggiando si cammina per diverse ore in condizioni climatiche sconosciute o avverse, ci si stipa in mezzi di trasporto con spazi angusti, e bisogna rispondere prontamente ai cambi di scenario imprevisti. Il viaggio presuppone dinamicità, prevede spostamenti e tragitti, l’attraversamento di luoghi “assoluti, di cui deve afferrare di colpo l’essenza” – direbbe Roland Barthes – che richiedono a gran voce un determinato guardaroba e condizionano l’agire dei corpi con cui si relazionano.

La moda da viaggio va considerata come un agente della dinamicità delle culture che utilizza l’innovazione come novità trasformativa del suo nucleo di significati portante, radicato nel suo sistema di riferimento e di appartenenza.  Nonostante l’approccio con una nuova cultura richieda un avvicinamento alle usanze locali, “vestirsi da turista” impone il distacco visivo dalla comunità autoctona per incarnare lo spirito del “fuori stagione”, o, peggio ancora, del “fuori luogo”, non tanto nel senso di inopportuno, ma proprio della scarsa appropriatezza al posto che si sta visitando. Trovo affascinante la leggerezza degli outfit di chi visita l’Italia tra autunno e primavera: a gennaio imperano shorts e pareo sulle spalle a mo’ di mantella per proteggersi dal gelo, come se piumini e cappotti fossero banditi ai controlli di sicurezza. Capisco che il cambiamento climatico possa confondere le idee, ma le previsioni del tempo sono facilmente consultabili da Web e App; dunque, l’incognita potrebbe essere facilmente risolta qualche giorno prima di arrivare a destinazione. Le aspettative di chi visita l’Italia sono così radicate nell’immaginario filmico, musicale e artistico che la stagione invernale non viene contemplata come possibilità. Belpaese significa bel tempo, e se malauguratamente si beccano giornate di pioggia e grandine, bisogna rivalersi contro l’host del B&B di turno, scrivendo nella recensione “Tutto perfetto, eccetto il meteo”. Il clima avverso non giustifica l’assetto classico da turista, che, in caso di pioggia deve ricorrere a improponibili mantelline di plastica scadente, vendute a prezzi esosi da ambulanti oppure ripararsi con il telo mare inserito nel necessaire per visitare gli scavi di Pompei. Oltre all’ingombro del “dover essere in Italia”, c’è quello della valigia, che trae giovamento dal cielo terso e dalle temperature miti. L’ottimismo è la chiave per non pagare extra sui voli low cost e snellire il processo di scelta indumenti. Il processo di scelta di un capo da viaggio ha una strutturazione narrativa poiché riguarda da vicino un’esperienza di vita, in ogni sua fase trasformativa e organizzativa. Si tratta di un percorso di produzione e circolazione di senso con uno scopo individuabile, le cui tappe sono prestabilite, ricorrenti e segmentabili, quali sequenze di azioni e passioni. Comporre una valigia che abbia senso rispetto al luogo in cui ci si reca e sia adatta alle esigenze è un’operazione consumante che richiede una solida strategia. E, soprattutto, ciò che sembra funzionare a casa, una volta a destinazione, sembrerà inutile.

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(Foto di Hank Paul su Unsplash)

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