Con l’approvazione del “Decreto trasparenza”, avvenuta a metà maggio, l’Italia ha finalmente una legge sull’accesso civico ai dati della pubblica amministrazione, meglio conosciuta come Foia (Freedom of Information Act). Di questo provvedimento, lungamente atteso, abbiamo parlato tante volte, per denunciare come il nostro Paese fosse in notevole ritardo rispetto a molti altri sull’introduzione di una norma che faciliti l’accesso dei cittadini a informazioni che per definizione dovrebbero essere pubbliche.
Come spiegavamo, fino all’entrata in vigore della legge (che dovrebbe avvenire entro fine anno), chiunque voglia accedere a un qualunque atto della pubblica amministrazione può farlo solo in presenza di una “situazione giuridicamente rilevante” che giustifichi la richiesta. Bisogna dunque essere personalmente coinvolti in una qualche vicenda che riguardi la pubblica amministrazione, e comunque si possono chiedere solo informazioni riguardanti fatti collegati alla vicenda in questione. Con il Foia non sarà più così e chiunque potrà fare richiesta, senza che vi sia necessariamente una causa in corso (alcuni esempi: «Quanto è costato il “viaggio di Stato” di un ministro o la presentazione in pompa magna di un provvedimento, oppure i criteri seguiti per l’assegnazione di un appalto o i tempi previsti per portare a termine un’opera pubblica»).
Rispetto al testo presentato nei mesi scorsi, che aveva generato grandi perplessità per alcune lacune contenute, vi sono stati importanti passi avanti che anche l’associazione più attiva al riguardo, Foia4Italy, ha giudicato in maniera positiva, seppure con alcune riserve. Ecco cosa scrivono gli attivisti sul proprio sito: «Valutiamo positivamente il recepimento di molti di quelli che abbiamo definito “punti irrinunciabili” per un vero Foia: 1. l’eliminazione del “silenzio-diniego”, che sollevava le amministrazioni dall’obbligo di motivare il rifiuto all’accesso, 2. l’eliminazione dell’obbligo per i richiedenti di identificare “chiaramente” i documenti oggetto dell’istanza di accesso, 3. Il riconoscimento della gratuità dell’accesso in formato elettronico e cartaceo, limitando il rimborso ai costi documentati per “riproduzione su supporti materiali”, 4. La previsione di rimedi stragiudiziali, gratuiti e veloci, per i casi di mancata o negativa risposta, 5. La previsione di linee guida operative che orienteranno le amministrazioni in un’omogenea e rigorosa applicazione delle nuove norme».
Tuttavia restano aperte alcune questioni, in particolare l’assenza di sanzioni nei casi di «illegittimo diniego di accesso (che pure la legge delega della riforma Madia aveva previsto) e ci preoccupano l’eliminazione di alcuni obblighi di pubblicazione previsti dalla legge 33/2013 e la formulazione delle eccezioni ancora troppo generiche – come ad esempio nel caso degli “interessi pubblici inerenti la politica e la stabilità economica e finanziaria dello Stato” – che si prestano ad essere alibi per le amministrazioni che non hanno voglia di fare vera trasparenza». La stesura delle linee guida sui limiti all’accesso civico è stata delegata all’Autorità nazionale anticorruzione (Anac), d’intesa con il Garante per la protezione dei dati personali, senza indicare direttive precise in merito.
Il rischio è che l’eccessiva discrezionalità delle due autorità incaricate possa portare ad ampliare eccessivamente il ventaglio dei casi passibili di diniego da parte della pubblica amministrazione, depotenziando così la norma appena approvata. A livello generale, il decreto indica che le richieste possono essere respinte per «“evitare un pregiudizio concreto” (non solo potenziale) ad alcuni interessi pubblici che includono l’ordine pubblico – scrive Riccardo Puglisi su Lavoce.info –, la sicurezza nazionale, le relazioni internazionali e la difesa, la stabilità economica e finanziaria dello stato, la conduzione di indagini su reati e lo svolgimento di ispezioni. Il diniego è possibile anche per evitare un pregiudizio concreto a interessi privati specifici, ovvero la protezione della privacy, la libertà e la segretezza della corrispondenza e gli interessi economici di una persona fisica o giuridica».
Un altro aspetto positivo, individuato da Puglisi, è l’allargamento del concetto di “pubblica amministrazione” anche alle partecipate pubbliche e ad altri enti che non costituiscono diretta espressione dello Stato, ma di fatto ne sono un prolungamento: «L’obbligo di consentire l’accesso civico ricade non solo sulle pubbliche amministrazioni, ma anche sulle società partecipate da parte dello stato e dagli enti locali e su associazioni e fondazioni, purché (i) siano di dimensioni medio-grandi (bilancio superiore al mezzo milione di euro), (ii) siano finanziate per più della metà da risorse pubbliche e (iii) gli ordini direttivi siano designati da pubbliche amministrazioni. Il fine è quello di allargare l’ambito del diritto anche a soggetti che “assomigliano” alle pubbliche amministrazioni a motivo di un legame di finanziamento, partecipazione e nomina con queste ultime». Vedremo cosa accadrà nei prossimi mesi, quando saranno definite le linee guida e soprattutto con l’entrata in vigore del Foia, quando anche l’Italia potrà avere, finalmente, una Pubblica amministrazione più trasparente.
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