La trasparenza degli atti della pubblica amministrazione non è ancora un obiettivo raggiunto in Italia. A suo tempo, abbiamo raccontato su ZeroNegativo il cammino (e l’approvazione) di quello che è stato definito il Foia (Freedom of information act) italiano, sulla scorta dell’omologa legge statunitense. In questi giorni, però, sui giornali sono usciti alcuni articoli che mettono in discussione l’efficacia del provvedimento.
Vincenzo Vita, sul Manifesto, pone l’accento sull’eccessiva confusione normativa, nonostante l’apparente semplicità dei messaggi diffusi dal governo a maggio dell’anno scorso, dopo l’approvazione del decreto attuativo. Ecco un breve riassunto di come si presenta l’assetto normativo in merito alla trasparenza della Pa: «Lo scorso 27 dicembre è entrato in vigore il decreto legislativo 97/2016 (il cosiddetto “decreto trasparenza”): che ha modificato il d.lgs 33/201, il quale a sua volta novellò la legge madre, ovvero la 241 del 1990. A tutto ciò si sono aggiunte le «Linee guida» varate il 28 dicembre dall’Autorità nazionale anticorruzione d’intesa con il Garante per la protezione dei dati personali. Come ben sappiamo, quando un articolato normativo è semplice e chiaro non è detto che si applichi. Figuriamoci se su di un medesimo argomento – peraltro delicato e appoggiato all’angusto crinale che separa il diritto all’accesso e la privacy – convivono testi deliberati in successione ma non sostitutivi». Vita riscontra peraltro come non sia stato abrogato il comma seguente, contenuto nella legge del ’90: «Non sono ammissibili istanze di accesso preordinate ad un controllo generalizzato dell’operato delle pubbliche amministrazioni».
Da una parte si semplifica la titolarità all’accesso (ricordiamo che fino a prima di questa riforma doveva esserci una “situazione giuridicamente rilevante” a giustificare la richiesta di accesso a qualsiasi atto pubblico), ma dall’altra si chiede che le istanze siano episodiche e circoscritte
Alla Stampa hanno provato a “testare” direttamente l’efficacia della legge, presentando diverse richieste, tra cui la possibilità di leggere il carteggio tra sindaco e un certo assessore in diversi Comuni italiani. La risposta è stata sempre negativa, con motivazioni diverse. Eppure nelle linee guida dell’Autorità nazionale anticorruzione c’è scritto che: «Non si dovrà necessariamente escludere l’accesso a tutte le comunicazioni ma soltanto a quelle che, secondo una verifica da operare caso per caso, abbiano effettivamente carattere privato e confidenziale». In teoria dunque, espunte le parti relative a questioni personali, le mail di lavoro scambiate con gli indirizzi ufficiali dovrebbero essere consultabili. Ricordate quanto si parlò negli Usa dell’uso che fece Hillary Clinton del suo indirizzo di posta personale mentre era Segretario di Stato? Da noi il problema inizia molto prima. Nel caso di Venezia la motivazione è stata poi quasi demenziale: non si può accedere alle mail perché non vengono indicate comunicazioni specifiche. Ma come posso chiedere di accedere a una certa mail se non so che quella mail è stata inviata? Fortuna che, ai tempi dell’approvazione del decreto, l’associazione Foia4Italy elencava tra i punti positivi della norma «l’eliminazione dell’obbligo per i richiedenti di identificare “chiaramente” i documenti oggetto dell’istanza di accesso». Pare che questo obbligo sussista ancora, almeno per il Comune di Venezia. Il fatto che ogni amministrazione agisca a modo suo è confermato dalle parole dell’avvocato Giovanni Battista Gallus, intervistato a pagina 11 sulla Stampa di ieri: troppi vincoli e troppe eccezioni, col risultato che «così facendo ogni pubblica amministrazione potrà opporre anche pretestuosamente principi diversi».
Gallus si spinge addirittura oltre, nel dire che gli obblighi imposti alla pubblica amministrazione dal decreto finiranno per darci una Pa meno trasparente di prima, paradossalmente: «Oltre a tutti i vincoli già previsti dalle precedenti norme si sono aggiunte problematiche che tendono a far diventare le amministrazioni più restie a fornire atti e documenti. Per esempio il Foia prevede che una volta liberi i documenti siano immediatamente pubblici e utilizzabili anche per fini commerciali. Questo farà riflettere le amministrazioni non due volte, ma tre prima di dare risposta positiva». E così il cittadino non potrà che rinunciare di fronte alle pretestuose motivazioni di diniego, se non dotarsi di avvocato e insistere, a suo rischio e pericolo, ma soprattutto a sue spese.
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