L’impegno del governo sul gioco d’azzardo, per ora, è ancora fatto di parole. Le scelte concrete sono rimandate a dopo il referendum, il che è dettato principalmente da scadenze istituzionali (legate all’approvazione della legge di bilancio 2017), ma di certo la cosa non dispiacerà all’esecutivo. Rispetto alla proliferazione di slot nei locali pubblici, il governo ha infatti annunciato un cambio di rotta che contraddice quanto visto in questi mille-e-qualcosa giorni. La tendenza che da alcuni anni sta portando a una forte espansione dell’offerta di gioco si traduce per lo Stato in una conveniente fonte di reddito, a discapito della salute e del reddito dei cittadini più fragili.

Nei giorni scorsi si è parlato di una ipotetica bozza di riforma del settore, poi ritirata (o meglio mai presentata alla conferenza Stato-Regioni, dove si sarebbe dovuta discutere), che spingeva per l’apertura di 10mila nuovi “casinò di quartiere” e che avrebbe tolto potere decisionale a sindaci ed enti locali. Per fortuna di questa bozza si sa solo quanto pubblicato da alcuni giornali, che evidentemente ne sono venuti a conoscenza da fonti riservate. Difficile, al netto di questo episodio, capire in che direzione voglia davvero andare il governo in carica, da un lato attratto dagli introiti che derivano dal gioco, dall’altro preoccupato per gli effetti sociali (ed elettorali) di un’eccessiva leggerezza sul tema. A settembre, come abbiamo scritto, Matteo Renzi aveva annunciato di voler cambiare approccio sul gioco d’azzardo, ma in concreto non si era capito quale fosse il suo intento.

Ora si parla di anticipare il taglio del 30 per cento delle macchinette (usando come base i dati di diffusione aggiornati a luglio 2015), previsto per il 2019, al 2017. Sarebbe un’azione concreta e auspicabile. Non definitiva, non sufficiente, certo, ma almeno sarebbe un inizio. Il sottosegretario all’economia Pier Paolo Baretta, intervistato dal Post, ha dato ieri ulteriori informazioni interessanti: «“Stiamo lavorando su alcuni aspetti sensibili, come il problema delle distanze degli apparecchi dalle zone sensibili, come le scuole, e l’orario in cui è possibile giocare […]. Il testo in discussione prevede anche l’eliminazione totale delle slot machine dai cosiddetti “esercizi generalisti secondari” (alberghi, negozi, edicole, ristoranti, stabilimenti balneari). In futuro, ha detto Baretta, il governo pensa di introdurre un’altra norma che “in tempi congrui” porti all’eliminazione completa delle slot machine anche da bar e tabaccherie».

Non sarebbe male riportare il gioco d’azzardo a una dimensione più “di nicchia”, che preveda spazi e tempi definiti. Col proibizionismo non si è mai risolto nessun problema, di questo siamo consapevoli. Ma un conto è consentire che il gioco d’azzardo sia praticato, ben diverso è lasciare che si moltiplichino le occasioni di gioco: con la pubblicità che, mentendo, lascia sognare un cambio di vita a seguito di una vincita (cosa che càpita, ma talmente di rado che abbandonarsi all’idea è una scelta “perdente”); con i rivenditori che chiedono se si vuole provare questo o quel “gratta e vinci”; con le slot che scintillano e rumoreggiano in ogni bar e tabaccheria. Questo modo di operare ha fatto sì che l’Italia si sia conquistata un posto d’eccezione nella classifica dei Paesi che giocano di più: «Il gioco d’azzardo legale in Italia ha raggiunto dimensioni da record: ogni anno il settore fattura 88 miliardi di euro, cioè un quinto del totale mondiale, circa 450 miliardi. Metà del fatturato italiano, poco più di 47 miliardi, arriva dalle slot machine: ce ne sono più di 400 mila nel nostro paese, cioè circa una ogni 155 abitanti, contro una ogni 261 abitanti in Germania e una ogni 372 negli Stati Uniti. Il Giappone è uno dei pochi paesi al mondo con una concentrazione più alta: ci sono circa dieci milioni di apparecchi per il “pachinko”, una specie di slot machine. Mentre in Giappone il settore è in crisi da anni e i giocatori si sono quasi dimezzati nell’ultimo quindicennio, in Italia è cresciuto del 191 per cento tra il 2005 ed oggi. Soltanto nel 2015 il numero di slot machine è aumentato del 10 per cento». Siamo riusciti a far fiorire un settore che altrove va in crisi.

Certo sono tanti soldi quelli che lo Stato recupera dalle giocate, ma il costo sociale derivante è assai maggiore. Inoltre, è sempre opinabile il fatto di cercare di tirare fuori qualcosa di buono da qualcosa che non lo è: curare le ludopatie causando al contempo un aumento del gioco ha senso? Sarebbe come dare più soldi ai reparti di chirurgia con i proventi derivanti dalla vendita di armi.

Vi lasciamo con la provocazione di uno che non si è certo costruito una fama di “simpatico” o accomodante, il politologo statunitense Edward Luttwak. Per lui, c’è una maniera semplice per arginare il problema: «Direi che il gioco dovrebbe essere affidato nelle mani della criminalità organizzata, così da essere un’attività nascosta, ghettizzata e a cui si avvicinano in pochi». Una posizione senz’altro originale, ma eticamente inaccettabile.

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