Il tema delle carceri si è preso uno spazio centrale nei primi giorni del governo presieduto da Giorgia Meloni, il che rappresenta un evento piuttosto inedito e per certi aspetti positivo. Il neo ministro della Giustizia Carlo Nordio si è detto preoccupato per la situazione in cui versa il sistema carcerario italiano e ha rilasciato dichiarazioni accolte con favore dalle associazioni che si occupano di questo tema: «La velocizzazione della giustizia passa attraverso una forte depenalizzazione e quindi una riduzione dei reati», ha detto Nordio subito dopo il giuramento al Quirinale. E ancora, in altra occasione: «La certezza della pena, che è uno dei capisaldi del garantismo, prevede che la condanna debba essere eseguita, ma questo non significa solo carcere e soprattutto non significa carcere crudele e inumano che sarebbe contro la Costituzione e i principi cristiani».

Tali uscite sembravano aprire a un approccio orientato a favorire misure alternative alla detenzione, oltre a riforme che prevedano una diversa classificazione di alcuni reati.

Il discorso di insediamento di Giorgia Meloni sembra però sconfessare questa linea, visto che tra le tante cose dette c’è stata anche questa: «Non si combatte il sovraffollamento delle carceri depenalizzando». Il nuovo esecutivo sembra quindi orientato su posizioni piuttosto tradizionali della destra rispetto al problema, ossia innanzitutto proponendo la costruzione di nuove carceri.

La presidente del Consiglio ha affrontato il tema durante il dibattito seguito al voto di fiducia in Senato, incalzata da Ilaria Cucchi sul problema dei suicidi in carcere. Meloni, ha scritto la coordinatrice di Antigone Susanna Marietti, «ha riconosciuto il problema dei suicidi in carcere e ha sostenuto che bisogna costruire nuove strutture per evitare il sovraffollamento e che ci vuole la certezza della pena. Prendiamo atto della sua presa di coscienza rispetto alla drammaticità del tema. Ma è davvero quella la soluzione? A questo deve servire il carcere? Le nuove strutture dovrebbero rinchiudere altri pericolosi criminali che rubano una cuffietta bluetooth e che al secondo giorno non reggono la galera e si mettono un cappio al collo? Il carcere dovrebbe costituire la risposta estrema del sistema penale, da riservarsi alle situazioni più gravi. Chi conosce le galere sa invece che esse sono piene di disperati, di persone senza reti sociali, di emarginati, di poveri, di senzatetto, di tossicodipendenti, di immigrati, di malati psichiatrici: di tutti coloro alle cui vite un welfare sempre più dismesso ha rinunciato».

Le domande di Marietti pongono l’accento sulla complessità del problema, che secondo chi si occupa di persone recluse e conosce bene i loro problemi non è risolvibile semplicemente con nuove strutture. Abbiamo scritto molte volte di come il tasso di recidiva scenda sensibilmente tra chi ha la possibilità di scontare la propria pena avendo accesso a misure alternative al carcere, e quindi non è aumentando il numero di celle che si risolve il problema. Certo, non per questo si può negare che le carenze strutturali ci siano, e quindi ben vengano le dichiarazioni di Nordio rispetto alla necessità di migliorare le carceri esistenti e garantire un migliore trattamento economico a chi ci lavora. Si tratta di passi importanti e urgenti, ma assieme alle strutture occorre occuparsi anche delle persone recluse.

L’altro tema legato alle carceri di cui si è occupato il governo nei suoi primi giorni di attività è l’ergastolo ostativo. Qui purtroppo dobbiamo constatare come l’esecutivo abbia preso una direzione contraria a quanto dichiarato dalla Corte costituzionale, dalla Corte europea per i diritti umani, da diversi rispettati costituzionalisti e dallo stesso Nordio, ribadendo in sostanza che sia giusto legare la commutazione dell’ergastolo ad altre forme di pena alla disponibilità del detenuto a collaborare con la giustizia. Come spesso accade, anche in questo caso l’eccessiva semplificazione che avviene quando un tema complesso viene calato nel dibattito politico ha spostato il centro della discussione, che non è un allentamento della pena per tutti. Come spiega Vladimiro Zagrebelsky, «La dichiarazione di illegittimità costituzionale dell’attuale legislazione non comporta – come invece sembra dal dibattito politico – l’automatica applicazione dei benefici e della liberazione condizionale, ma invece rinvia la valutazione ad un giudizio particolarmente rigoroso da parte dei giudici di sorveglianza».

(Foto di Tingey Injury Law Firm su Unsplash)

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