Mentre nella maggior parte dei Paesi la donazione di plasma avviene su base volontaria, alcuni paesi, tra cui gli Stati Uniti, la Germania, l’Austria, la Repubblica Ceca e l’Ungheria, permettono ai donatori di essere pagati per il loro contributo. Questa pratica presenta implicazioni etiche relative alla mercificazione di una risorsa salvavita, e rischia di aprire la strada a situazioni di sfruttamento e potenziali rischi per la salute dei donatori.
Come racconta un articolo su Balkan Insight, nel nord-est dell’Ungheria si sta sviluppando un controverso mercato di plasma umano. Questa nuova sacca di economia informale coinvolge le persone più vulnerabili, in particolare la comunità Rom, dove la disoccupazione e la povertà sono elevate. Per molti, la donazione di plasma è diventata una fonte di reddito necessaria, anche se rischiosa. Con oltre 50 centri di plasma che operano in tutto il Paese, le aziende raccolgono fino a 2.600 litri di plasma a settimana, esportandolo all’estero a causa della mancanza di capacità di lavorazione in Ungheria.
Sebbene la legge ungherese limiti i donatori a 45 donazioni all’anno e a un massimo di due donazioni a settimana, queste norme sono facilmente aggirabili. I centri di plasma non condividono infatti tra loro le informazioni sui donatori, consentendo alle persone di donare in più sedi e quindi superare i limiti. Molti donatori e donatrici ammettono di avere superato questi limiti, spinti da problemi finanziari e incoraggiati dall’attenzione dei centri di raccolta verso i profitti piuttosto che verso la salute.
L’incentivo finanziario in sé è relativamente scarso, spiega l’articolo: i donatori ricevono solo il corrispettivo di 18 euro in contanti per ogni donazione. Tuttavia, i centri di raccolta offrono ulteriori incentivi come buoni spesa, partecipazioni a lotterie e premi per incoraggiare le donazioni. Questa gamification del processo di donazione crea un ciclo di dipendenza, con i donatori che tornano continuamente nella speranza di vincere ricompense maggiori.
Pagare i donatori di plasma (così come i donatori di sangue intero) solleva alcuni problemi etici. Come visto nel caso ungherese, se da un lato può incentivare le donazioni e potenzialmente aumentare l’offerta di questa risorsa salvavita, dall’altro rischia di sfruttare individui vulnerabili che potrebbero sentirsi spinti a donare per motivi economici, anche se ciò potrebbe essere dannoso per la loro salute. L’Organizzazione Mondiale della Sanità raccomanda di non effettuare donazioni a pagamento a causa delle preoccupazioni legate allo sfruttamento e al potenziale abbassamento degli standard di screening.
Questa pratica solleva inoltre notevoli problemi di salute. Sebbene la donazione di plasma sia generalmente considerata sicura se avviene entro gli standard raccomandati, gli effetti a lungo termine delle donazioni frequenti sono in gran parte sconosciuti. Alcuni donatori riferiscono di problemi di salute, tra cui indebolimento del sistema immunitario e svenimenti, ma si sentono costretti a continuare a donare per questioni finanziarie.
In aggiunta a tutto questo, il Servizio nazionale ungherese per le trasfusioni di sangue, è stato accusato di vendere il plasma di proprietà dello Stato a società multinazionali senza indire una gara. Tale mancanza di trasparenza ha alimentato le richieste di un maggiore controllo statale sul processo di donazione e dell’istituzione di un database nazionale delle donazioni, richieste che al momento restano rimangono disattese.
La mancanza di regolamentazione e di controllo del settore consente alle aziende di sfruttare questa vulnerabilità, dando priorità ai profitti rispetto alla salute e al benessere dei donatori e delle donatrici. Sebbene il plasma salvi indubbiamente delle vite, le implicazioni etiche e sanitarie del suo commercio non regolamentato in Ungheria sollevano seri interrogativi sul costo a fronte del quale queste vite vengono salvate.
(Foto di the blowup su Unsplash)
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