Nei giorni scorsi è stato raggiunto un accordo sul cosiddetto “decreto Milleproroghe”, che contiene alcune misure presentate come molto importanti in tema di sanità pubblica.

Per dare un po’ di contesto, il Milleproroghe è una peculiarità (o meglio un’anomalia) tutta italiana, per cui a inizio anno ogni governo, da quasi trent’anni, approva un unico decreto fatto di centinaia di articoli contenente una serie di misure molto eterogenee. Queste servono di solito a prorogare scadenze o ritardare l’entrata in vigore di leggi, ma anche a introdurre misure del tutto nuove, a livello nazionale oppure locale, molto importanti o anche molto trascurabili o bizzarre, queste ultime spesso legate al lavoro di rappresentanza di interessi particolari da parte di singoli parlamentari che così possono intestarsele come vittorie o conquiste.

È quindi uno strumento con cui i governi possono “insabbiare” il fatto che una certa misura molto sbandierata nei mesi precedenti, in realtà, non entrerà in vigore nei termini previsti, ma anche per far passare misure anche molto importanti, inserendole in un “decreto-mostro” su cui normalmente il governo mette la questione di fiducia, costringendo il Parlamento a votarlo così come emerge da lunghe ed estenuanti trattative nelle commissioni competenti.

Fatta questa premessa, è interessante l’analisi che del Milleproroghe fa il giornalista e medico Daniele Coen su Domani. Come spiega Coen, «Due punti che vengono presentati come sostanziali passi avanti sono in realtà compromessi di scarsa efficacia in attesa di soluzioni incisive che al momento restano tutte da verificare, in assenza di un’uniformità di vedute anche all’interno della maggioranza».

Non nasconde quindi il suo scetticismo l’autore dell’articolo, che poi spiega di cosa trattano i due punti a cui fa riferimento: la proroga dello scudo penale per i medici per tutto il 2024 e la possibilità, per medici e docenti universitari di medicina, di andare in pensione a 72 anni su base volontaria.

Lo scudo penale, introdotto durante la pandemia di Covid-19, prevedeva che i medici non fossero perseguibili penalmente in caso di “colpa lieve” legata all’emergenza pandemica. Adattando la norma al contesto post-pandemico, ora le attenuanti per i medici si riferiscono a condizioni di scarsa disponibilità di personale medico, ma sono anche conseguenza «delle condizioni di lavoro del professionista sanitario, dell’entità delle risorse umane, materiali e finanziarie concretamente disponibili in relazioni al numero di casi da trattare, del contesto organizzativo in cui i fatti sono commessi, nonché del minor grado di esperienza e conoscenze tecniche possedute dal personale non specializzato».

Secondo Coen, i due principali problemi riguardano la mancanza di una definizione chiara di “colpa medica lieve” e “grave” nel codice penale, che rende ogni atto medico oggetto di denuncia soggetto alla valutazione del giudice. Questo potrebbe portare non una diminuzione ma un aumento di lunghi e costosi processi per i medici. Il secondo problema riguarda l’arbitrarietà del concetto di “grave carenza di personale sanitario”, con difficoltà nel determinare quando questa carenza sia considerata “grande” in un contesto specifico.

La possibilità di andare in pensione a 72 anni per medici e docenti universitari è stata accolta con interesse, ma non risolve i problemi strutturali del sistema sanitario, come la carenza di personale e le condizioni di lavoro stressanti. Inoltre, questa misura non è obbligatoria e dipende dall’iniziativa individuale dei professionisti.

«In conclusione – scrive Coen –, due provvedimenti di facciata, di cui si può forse apprezzare il significato simbolico, ma che non avvicinano di un palmo alla soluzione dei veri problemi e che dà fastidio sentire sbandierare come significativi progressi nella lotta in difesa della sanità pubblica».

(Foto di rawpixel.com su Freepik)

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