Di Ennio Morricone, noto compositore scomparso il 6 luglio, si è detto e scritto molto. Un articolo di Alessandro Carrera su Doppiozero si concentra sugli aspetti strettamente musicali della sua opera, in una forma comprensibile a tutti.

“Copiare il vero può essere una buona cosa, ma è fotografia, non pittura. Inventare il vero è meglio, molto meglio.” Lo scrisse Giuseppe Verdi alla contessa Clara Maffei in una lettera del 20 ottobre 1876. Ne sapeva qualcosa, avendo inventato, pochi anni prima per l’Aida, una “musica egiziana” che non era mai esistita. Ennio Morricone si trovò all’incirca nella stessa situazione quando iniziò a comporre le musiche per i western di Sergio Leone, ma a carte rovesciate. Doveva inventare il falso, nel senso che l’universo West di Sergio Leone era assolutamente “fasullo” rispetto alla supposta “verità” del genere hollywoodiano. Quello che fece, forse costretto dalle circostanze, dal budget ridotto che non gli permetteva di usare un’intera orchestra, o per qualunque altra ragione che comunque scompare di fronte al risultato, fu di scomporre cubisticamente la strumentazione e di dividere i suoni, spazializzandoli, rendendo ogni segnale sonoro perfettamente percepibile (non solo ogni strumento, perché Morricone decise di equiparare suoni e strumenti, da quel compositore d’avanguardia che era) senza bisogno di nessun pieno orchestrale. Il West di Morricone divenne così una rassegna di indici musicali, una semiotica in musica.

L’uso massiccio della tromba era personale (la tromba, lo strumento di suo padre, era lo stesso con il quale Morricone si era diplomato) ma era anche un omaggio dichiarato a El Degüello (letteralmente: “lo sgozzamento”), il tema per tromba usato da Dimitri Tiomkin nella colonna sonora di Rio Bravo (Howard Hawks, 1958) e poi anche in La battaglia di Alamo (John Wayne, 1960). Leone aveva chiesto espressamente a Morricone di scrivere musica “alla Tiomkin”, e Morricone lo fece, ma a modo suo. Oltre alla tromba, inserì chitarre elettriche nello stile dei gruppi di rock strumentale che allora erano in voga, come gli inglesi The Shadows che avevano raggiunto il successo nel 1960 con Apache. A questi segnali ampiamente riconoscibili Morricone aggiunse fischi, fruste, scacciapensieri e grida inarticolate (che cosa cantano le voci maschili in Per un pugno di dollari? “We can fight” o sillabe senza senso? Non che abbia molta importanza). Per il primo film della ‘trilogia del dollaro”, Morricone aveva agito d’impulso, senza chiedersi dove stava andando. Nessuno allora pensava che gli spaghetti western potessero avere un futuro oltre il mercato europeo di serie B al quale erano destinati. Ma l’istinto di Morricone era nutrito dai suoi studi e dalla sua consapevolezza della totalità della musica.

Continua a leggere su Doppiozero.com

(Foto di Gonzalo Tello su flickr)