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Nel dibattito che da lungo tempo si sviluppa intorno all’opportunità o meno di coinvolgere sempre di più l’iniziativa privata nella conservazione e restaurazione del patrimonio culturale italiano, la politica ha finalmente adottato una linea chiara e definita: quella di chi ha finito i soldi, e quindi li va a chiedere all’estero. Ignazio Marino, si apprende da un articolo pubblicato sull’Independent, è volato in California a parlare con i milionari della Silicon Valley, per chiedere loro di intervenire in merito con proprie donazioni. Il sindaco di Roma, scrive Anthony Faiola, spiegherà al suo selezionatissimo pubblico che l’Italia sta adottando misure drastiche per assicurare la preservazione dei suoi beni, tra cui la controversa decisione di chiudere il traffico automobilistico nei pressi del Colosseo, per ridurre il deterioramento prodotto dagli scarichi dei veicoli. «Ma il mondo ci deve aiutare – ha detto Marino –. Non possiamo farcela da soli».

Di soldi in effetti ne servono tanti, e i conti dello Stato non sono nel momento più roseo della storia repubblicana. «Certo, finché quanto raccolto dalle tasse dei cittadini è utilizzato per finanziare i festini dei consiglieri regionali – tuona Philippe Daverio dai microfoni di Radio3, nel corso della trasmissione Radio3 Mondo la mattina dell’8 settembre –, non si potranno mai sfruttare per fare altro». E come dargli torto? D’altra parte, come ha tenuto a precisare il ministro della Cultura Dario Franceschini: «Anche se non fossimo in un periodo di tagli alla spesa pubblica, resta il fatto che l’eredità culturale italiana è troppo vasta. Quindi non vedo perché mai dovremmo dire “no” a un’apertura verso gli interessi privati». Già, ma il problema non è tanto da dove arrivino i soldi, bensì chi detta la linea.

Di fronte al pericolo che Faiola definisce “disneyficazione” dell’Italia (il termine è abbastanza azzeccato, inutile spiegarlo), dovrebbe essere la politica, nella fattispecie il Ministero della cultura, a dettare le condizioni delle collaborazioni. «Ma la macchina è troppo fragile – continua Daverio –. Le migliori personalità del Ministero hanno lasciato il loro incarico e i giovani non sono invogliati a prendere in mano la situazione. Prevale la preoccupazione di chi lotta perché i soldi finiscano nelle tasche giuste. Si teme che ogni soldo “sprecato” per un restauro sia tolto alla finalità più utile, ossia gli “affari interni”». Conclusioni amare, sostenute dall’esperienza di chi ha studiato la materia, non solo da studioso. C’è da dire che in Italia il pericolo “disneyficazione” sembra per ora poco concreto. Nonostante l’impegno di alcune firme dell’alta moda per il recupero di monumenti romani (Fendi per la fontana di Trevi, Bulgari per piazza di Spagna, Tod’s per il Colosseo), sembra ancora lontano il giorno in cui vedremo il logo di Gucci sulla torre di Pisa.

D’altra parte, come fa notare Daverio, l’Italia storicamente si è già appoggiata fortemente agli interessi privati, basti guardare alla storia ecclesiale: «La cappella degli Scrovegni è stata fatta perché Scrovegni ha messo i soldi. Poi Giotto l’ha dipinta. L’importante è che poi non sia Scrovegni la domenica a dire messa al posto del prevosto». Indubbiamente ci sono anche dei vantaggi nella rapidità ed efficienza degli investitori privati, che si riflettono nelle scelte operative per la realizzazione dei lavori: «Il privato accorcia il percorso perché non deve sottostare alle lungaggini burocratiche delle gare d’appalto. Ci tiene a fare bella figura, quindi affiderà il restauro a uno che lo sa fare; il pubblico invece lo affiderà a un’impresa che rispetta i parametri della spesa pubblica. Anche la pubblica amministrazione può in alcuni casi procedere alla nomina diretta, ma non ha mai il coraggio di farlo, mentre tende ad affidare i lavori a chi fa l’offerta più bassa o a quella che sta meglio nella media ponderata. La spesa pubblica è tendenzialmente irresponsabile, quella privata è responsabile. Quindi molto meglio la responsabilità del privato della teorica inutile trasparenza del pubblico». Al pubblico spetta però una funzione imprescindibile, quella del controllo. Già, ma crediamo davvero che sia in grado di assolverla?