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Un articolo di Luisa Grion su Repubblica dà conto della progressiva “estinzione” cui potrebbe andare incontro una specie antica e romantica quanto ormai anacronistica e insostenibile, almeno a sentire le dichiarazioni di Poste Spa: il postino.

Consegnare pacchi e lettere in tutto il Paese, anche nelle sperdute frazioni di montagna o nei borghi con trenta abitanti. E farlo, se serve, per cinque giorni alla settimana, a costo di allungare la strada di decine di chilometri pur di recapitare una cartolina illustrata. Questo è il servizio universale che Francesco Caio, amministratore delegato di Poste Spa, afferma di non poter più sostenere, perché troppo costoso rispetto alla compensazione che lo Stato è disposto a versare.

Ora – visto che tale servizio è garantito in ogni Paese europeo e regolamentato da Bruxelles – è difficile pensare che nei prossimi mesi nelle valli lontane non possano più essere consegnate lettere e bollette, ma è molto probabile che la corrispondenza finisca con l’essere là distribuita con maggiore calma. Le Poste – alla vigila della privatizzazione e in predicato di investire 65 milioni nell’ennesima operazione di salvataggio di Alitalia (l’intesa con Etihad) – chiedono infatti di modificare le norme del contratto siglato con il ministero dello Sviluppo economico: è il mondo ad essere cambiato, dicono, il vecchio servizio è un costo che non ci possiamo più permettere.

Gli italiani scrivono poco, (61 invii pro capite contro i 220 della Gran Bretagna o 183 della Germania), le mail avanzano a passi da gigante e bruciano le lettere su carta, la concorrenza privata (3.800 licenze spesso a piccole aziende che operano solo nelle grandi città) si è accaparrata i business più succulenti (la corrispondenza commerciale e bancaria) lasciando a Poste spa l’onere di coprire le zone più impervie e di mantenere, per rendere possibile tutto ciò, una pesante struttura. Se il servizio universale è un obbligo da rispettare – riconosce l’azienda – i costi della consegna vanno comunque ridotti.

In realtà la «spending review» interna è già iniziata da tempo e gli utenti hanno avuto modo di accorgersene. «Fino a cinque anni fa i portalettere erano 45 mila, oggi sono 35 mila su un totale di 145 mila dipendenti» racconta Mario Petitto, segretario generale della Slp Cisl, sindacato che storicamente nelle Poste va per la maggiore. «L’azienda non li sostituisce più quando si ammalano, il che vuole dire che interi quartieri di città possono restare scoperti per giorni. I colleghi in servizio assorbono le carenze di personale, ma per un massimo di 120 ore di straordinario l’anno». Un tempo i vuoti in organico si coprivano con assunzioni trimestrali, ora a restare vuote sono spesso le cassette delle lettere. E il territorio non aiuta: fatte salve la pianura Padana, l’Emilia e la Puglia, raggiungere il resto del Paese senza perderci diventa una sfida. Consegnare un pacco fra le colline del Piemonte, i monti abruzzesi, le isole e mille paesini isolati costa: «Ci sono postini che per recapitare una quantità accettabile di corrispondenza vanno su è giù con la Panda di servizio per 70 chilometri» dice Petitto.

D’altra parte, fanno sapere in azienda, i numeri parlano chiaro: per garantire il recapito in ogni luogo bisognerebbe mettere sul piatto 709 milioni per il 2011 e 704 per il 2012. Il Garante per le Comunicazione, l’Authority chiamata a quantificare le coperture, ha già detto che intende riconoscere a Poste Spa non più di 380 e 327 milioni per i due anni. Innalzare quelle cifre non sarà facile: negli ultimi anni lo Stato ha sempre versato più o meno la metà di quanto chiesto, ma fino ad oggi il bilancio quadrava grazie alla entrate che Poste si assicurava per i servizi forniti in campo bancario e assicurativo (nel 2013 i conti si sono chiusi con 26 miliardi di ricavi e 1 miliardo di utile). Ma tale aggiustamento potrebbe non essere più praticabile. Negli ultimi cinque anni i volumi distribuiti sono diminuiti del 26 per cento e la concorrenza – grazie alla struttura più flessibile e alla possibilità di «scegliersi» i clienti partecipando solo alle gare più ricche (grandi società pubbliche e banche) – si è accaparrata buona fetta del mercato commerciale, offrendo tariffe più basse grazie a strutture flessibili. Le stime dicono che il «buco » del servizio universale (400 milioni nell’ultimo bilancio) potrebbe lievitare fino a 3 miliardi nel 2019 ed è poco probabile che lo Stato si convinca ad allargare i cordoni della borsa. Le Poste mirano piuttosto a cambiare le regole del contratto: il postino, per esempio potrebbe garantire la consegna a giorni alterni, più di qualche sportello potrebbe essere chiuso (oggi sono 13.800 c’è un piano per ridurli a 11 mila). E soprattutto la società vorrebbe far sì che anche alla concorrenza privata fosse chiesto di partecipare ai costi: va bene puntare ai clienti «ricchi», ma dopo aver versato un contributo in un fondo destinato a partecipare alle coperture del servizio universale. Il problema non riguarda solo Poste spa, assicura l’azienda, ma tutte le «sorelle» europee. Per cambiare le regole bisogna però convincere Bruxelles.