Un’analisi precisa, equilibrata al di là di ogni possibile interpretazione ideologica, sul tema dei campi rom in Italia, scritta da Stefano Liberti per Internazionale. Una questione sollevata nei giorni scorsi in maniera strumentale dalla Lega Nord, che ha previsto l’ovvia risposta “politica” della sinistra. Cosa ci sta in mezzo? Un problema di ordine pubblico? Di diritti? Di gestione della spesa? Forse ognuna di queste cose, ma soprattutto persone, con tutti i pregi, difetti, limiti e potenzialità che questo implica.
Matteo Salvini ha ragione. Andando al campo di via Erbosa a Bologna, ha posto un problema serio: l’insensatezza e il costo spropositato della politica dei campi.
I “villaggi attrezzati” per rom, come vengono definiti i campi messi in piedi dalle amministrazioni di alcune grandi città italiane, sono stati stigmatizzati da diverse istituzioni internazionali. «Una segregazione forzata su base etnica», li ha definiti il commissario per i diritti umani del Consiglio d’Europa.
I campi sono segreganti e costano un mucchio di soldi. Per dare un’idea, il “villaggio della solidarietà e dell’accoglienza” di via di Salone, a Roma, una distesa di container dove vivono ammassati circa mille uomini, donne e bambini rom, costa ai contribuenti 3,5 milioni di euro all’anno.
È una cifra del tutto spropositata rispetto al risultato raggiunto: quel campo, come gli altri sette che l’amministrazione capitolina ha costruito intorno alla città, per lo più in aree periferiche a ridosso e al di fuori del grande raccordo anulare, è fatiscente, inadeguato a una vita degna e isolato dal contesto sociale in cui è collocato.
Veri e propri ghetti moderni, i campi creano un meccanismo di “esclusione assistita”: i rom, allontanati dalla società circostante, vedono il mondo di fuori come minaccioso e si rifugiano all’interno delle mura recintate del loro “villaggio”. Inoltre, non pagando nulla né per l’alloggio né per le utenze, hanno scarsi stimoli a uscire dalla condizione di ghettizzazione in cui sono stati messi.
Quindi ha ragione Salvini: quei fondi andrebbero usati diversamente. Ad esempio per favorire reali soluzioni abitative per i rom, come prevede peraltro la “Strategia nazionale di inclusione dei Rom, Sinti e Camminanti”, adottata nel 2012 dal governo italiano.
La valanga di euro sperperati per il mantenimento dei campi (e per non risolvere il problema della ghettizzazione) potrebbe essere efficacemente impiegata in un percorso di inserimento socioabitativo delle famiglie rom, come è stato fatto in alcune altre realtà.
Al di là degli obiettivi politici della Lega, che ha identificato nello “zingaro” il nuovo nemico pubblico numero uno, le scriteriate e razziste incursioni di Salvini potrebbero avere un merito involontario: rilanciare il dibattito sull’inclusione dei rom, mai realizzata finora, e sulla necessità di superare il sistema segregante dei campi.