In Italia ci sono sei milioni di persone che si trovano in condizione di povertà alimentare, il 12% dei residenti con almeno 16 anni di età. Il dato viene dall’ultimo rapporto di ActionAid.
Quando si parla di povertà alimentare, spesso si fa riferimento implicitamente all’impossibilità di accedere a un pasto. In realtà, è molto difficile in un paese come l’Italia restare del tutto senza cibo. Piuttosto, ciò che viene a mancare quando si ha un reddito troppo basso (o quando non lo si ha del tutto) è un’alimentazione completa e di una qualità adeguata e dignitosa. Come ha spiegato Chiara Cadeddu, ricercatrice dell’università Cattolica del sacro cuore di Roma, in un articolo pubblicato sull’Essenziale, «Anche le persone senza dimora riescono sempre ad avere un pasto caldo, ma la qualità è spesso pessima. Chi chiede l’elemosina per strada ha con sé i simboli di un’alimentazione sbagliata: bibite, patatine, biscotti. Tutti cibi consolatori, che costano poco e sono pieni di zuccheri, ma dannosi da un punto di vista nutrizionale».
La conseguenza, per chi mantiene un’alimentazione scorretta per periodi prolungati, è un peggioramento delle condizioni di salute. L’obesità si concentra infatti maggiormente nelle fasce più vulnerabili della popolazione.
Questo combacia con i dati rilevati da ActionAid, riportati da Redattore Sociale: «La deprivazione alimentare materiale o sociale – misurata come l’impossibilità di fare un pasto completo con carne, pollo, pesce o equivalente vegetariano almeno una volta ogni due giorni e con l’impossibilità di uscire con amici o parenti per mangiare o bere qualcosa almeno una volta al mese – risulta più diffusa fra i disoccupati (28,3%), le persone inabili al lavoro (22,3%), coloro con istruzione uguale o inferiore alla licenza media (17,4%), giovani tra i 19 e i 35 anni (12,3%) e adulti tra i 50 e i 64 anni di età (12,7%), stranieri (23,1%), chi vive in una casa in affitto (22,6%) e le persone che vivono nelle aree metropolitane (13,3%). Guardando alla composizione del nucleo familiare sono le famiglie monogenitoriali (16,7%) e quelle con 5 o più membri (16,4%) a registrare i tassi più elevati. La diffusione regionale è maggiore al Sud (20,7%) e nelle Isole (14,2%), dove in totale il fenomeno riguarda 3,1 milioni di persone, mentre si registra al Nord Est l’incidenza più bassa, pari al 5,8%».
I dati riportati da diversi soggetti che si occupano di fornire pasti e alimenti testimoniano un aumento del numero di persone che si rivolgono ai loro servizi. «Il numero di chi riceve aiuti Fead (Fondo di Aiuti Europei agli Indigenti) sotto forma di generi di prima necessità è cresciuto notevolmente negli ultimi anni passando dai 2,1 milioni nel 2019 ai 2,8 milioni del 2022», scrive Redattore Sociale. «Lo scorso anno più di 1,7 milioni di persone si sono rivolte alla fondazione Banco alimentare per ricevere questo aiuto, duecentomila in più rispetto al 2018», riporta Alice Facchini sull’Essenziale.
Spesso le misure d’intervento risultano inadeguate, anche per un problema di raccolta ed elaborazione dei dati. Secondo quanto riportato da Redattore Sociale, 6 persone su 10 tra quelle che si trovano in condizione di deprivazione alimentare non sono considerate a rischio di povertà secondo le fasce di reddito previste. Questo rende anche più complesso intraprendere percorsi che aiutino le persone a uscire dalla povertà. Offrire pasti e alimenti è infatti una misura assistenziale importante, ma dovrebbe essere solo il primo passo di un intervento volto a dare alla persone gli strumenti per uscire dalla propria condizione.
«Dobbiamo cambiare la visione che abbiamo del fenomeno per adottare un vero approccio multidimensionale che ruoti attorno al diritto cibo e non all’aiuto – ha detto Roberto Sensi, responsabile del programma Povertà alimentare di ActionAid Italia –, che coinvolga la comunità e non solo i singoli individui adottando, inoltre, sistemi di rilevazione della povertà alimentare più efficaci e a livello territoriale».
(Foto di Mart Production su Pexels)
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