Tra i tanti “gialli” estivi che riempiono le pagine dei giornali nella bonaccia informativa di agosto (con tanto di associazione “Cina-giallo” su cui prima o poi qualche titolista scivola), è il caso di soffermarsi su quello che sta coinvolgendo molte orchestre ed enti musicali italiani in merito alla ripartizione del Fus (Fondo unico per lo spettacolo). Una sintesi estrema della situazione la dà un titolo de La Stampa del 7 agosto: “La scure del governo cancella due terzi della musica italiana”. Nell’articolo, l’autore Sandro Cappelletto dà la parola a vari soggetti del panorama musicale italiano (di ambito classico e di ricerca) pesantemente penalizzati dai nuovi criteri introdotti dal nuovo algoritmo che da quest’anno valuta l’ammissibilità delle domande di sovvenzione. In apertura parla Stefano Passigli, presidente degli Amici della musica di Firenze: «Mi aspettavo un aumento del contributo, siamo stati tagliati del 25 per cento. E, decreto alla mano, non capisco perché. Esistiamo da 97 anni, ci stavamo preparando a festeggiare il centenario, alla prossima assemblea dei soci proporrò invece la chiusura». Valerio Vicari, direttore artistico dell’Orchestra dell’Università di Roma Tre, lamenta il fatto che questa non sia rientrata tra i progetti finanziabili, ma soprattutto denuncia la drastica riduzione dei soggetti ammessi: 15, contro i 180 del 2014.
Il taglio non ha colpito tutti, gli effetti del nuovo algoritmo hanno portato anche aumenti massicci dei finanziamenti per alcune realtà, come l’Orchestra Sinfonica Siciliana, che otterrà 750mila euro in più dell’anno scorso. Ciò che lascia perplessi è l’alone di incertezza calato dal Ministero, visto che i molti scontenti della riforma ancora non conoscono esattamente i motivi che li penalizzano. Il giorno successivo, l’8 agosto, su La Stampa è uscita una replica da parte di Salvatore Nastasi, direttore generale dello spettacolo dal vivo al Mibact, che smentisce in parte quanto scritto da Cappelletto, sottolineando come sia normale che i pochi scontenti si facciano sentire più dei molti premiati dalla riforma. Nell’articolo si smentiscono alcune cifre, riportando quelle ufficiali del Ministero.
Molto difficile capire quindi la situazione: si sta premiando e supportando chi fa musica di qualità in Italia? Oppure si sta affossando l’intero settore? A giudicare da alcune considerazioni sulla dicotomia quantità vs. qualità qualche preoccupazione c’è. In un passaggio, Nastasi scrive: «Inoltre, non è più compito del Ministero entrare nel merito del lavoro delle Commissioni tecniche, ma certamente si può affermare che non è stato un lavoro facile applicare le nuove disposizioni ed assumersi la responsabilità di scegliere non più in base solo ad una storia, ma anche sulle reali capacità e qualità delle istituzioni». Sempre sulla stessa testata, in un’intervista a Carlo Fontana, l’ex sovrintendente della Scala e oggi presidente dell’Agis rispondeva che «A cose fatte, credo che bisognerà riconsiderare il parametro del 30 per cento assegnato alla qualità e del 70, invece, alla quantità. La qualità è stata valutata troppo poco rispetto ai calcoli e all’oggettività dell’algoritmo. Un equilibrio 50-50 mi pare più appropriato». La pretesa oggettività dell’algoritmo, ovviamente, non può che basarsi su aspetti quantitativi, e quindi questi vengono privilegiati. Quindi chi più fa, più riceve. Ovvio che da ciò derivi una forte penalizzazione per le realtà più piccole, oppure per quelle che si impegnano in opere che richiedono tempi più lunghi di realizzazione.
Premiare la quantità a discapito della qualità significa costringere compagnie e orchestre a mettere in calendario molte date, riducendo al minimo il numero di prove necessarie a perfezionare la performance. Del resto, ad anticipare il “giallo” c’era stato un fatto che oggi possiamo dire non casuale, ossia le dimissioni – avvenute il 20 luglio – della compositrice Silvia Colasanti dalla Commissione Musica del Mibact, proprio l’organismo che decide la ripartizione del Fus per le attività musicali. Nella lettera al ministro Dario Franceschini, Colasanti motivava la sua scelta spiegando che «l’attuale legge (il D. M. del 1° luglio 2014 sullo spettacolo dal vivo) lascerebbe poco spazio all’aspetto qualitativo nella valutazione dell’attività delle varie istituzioni musicali, mettendola dunque nell’impossibilità di perseguire gli obiettivi culturali legati al suo ruolo». Ulteriore conferma, dunque, che i nuovi criteri di ripartizione non valutano in maniera corretta la qualità della proposta culturale.
A far notare l’assurdità dei criteri ci pensa il noto violinista e didatta Salvatore Accardo: «Penso al Centro Ricerche Musicali, chiamato il 3 agosto dal ministro Franceschini a inaugurare con una installazione sonora d’avanguardia la Palestra Grande di Pompei e pochi giorni dopo bocciato, azzerato». Piuttosto paradossale. Da ultimo, sempre Accardo sottolinea la “perfidia somma” del Ministero, che annuncia novità così drastiche proprio quando i calendari sono ormai definiti e gli ospiti hanno già fissato i propri impegni. Ora si dovranno disdire numerosi appuntamenti, il tutto a danno dell’immagine della professionalità italiana nel campo della cultura.