Il 12 marzo è stato varato un disegno di legge che rappresenta il primo atto concreto dell’esecutivo del progetto “Buona scuola”, annunciato a settembre del 2014. Affinché la riforma arrivi a compimento mancano ancora molti passi, ma si possono fare già alcune considerazioni a margine di quanto presentato. Pubblichiamo le riflessioni di Christian Raimo uscite su Internazionale.
Nel più bel film italiano sulla scuola, Bianca di Nanni Moretti, all’inizio c’è una scena in cui il protagonista Michele Apicella si rivolge a Bianca, dicendole: “Io lo so che tipo è lei: ha il suo macellaio di fiducia, che le tiene i pezzi migliori…”. “Perché, c’è qualcosa di male?”. “E certo che c’è, se ci vado io, poi mi prendo i pezzi peggiori!…”.
Lo spirito della riforma che Matteo Renzi ha ripresentato ieri, per la decima, undicesima volta dal suo insediamento, sta un po’ tutto qui.
In questa ennesima bozza (questa è la volta del disegno di legge), la constatazione amara che ci sono modelli formativi di serie A e modelli formativi di serie B – si tratti di scuole o di università – non è più un problema da risolvere, ma una soluzione.
Il non troppo nuovo progetto – mica poche le somiglianze con il disegno legge Aprea del governo Berlusconi – non ha più il suo cardine nell’assunzione dei precari.
Notare: nelle precedenti conferenze stampa il numero dei futuri assunti era di 150mila, ieri si è detto centomila, e c’è da scommetterci che dall’iter parlamentare (”ah! le opposizioni maramalde che si sono opposte al nostro disegno di legge!”, si griderà per l’unica riforma che non è passata a botte di decreti legge e fiducie) si arriverà, vedrete, a 50mila unità, cioè una cifra praticamente identica alle assunzioni che avvengono ogni anno.
Inoltre non si capisce ancora, dalle parole enfatiche di Renzi e della ministra Stefania Giannini in conferenza stampa, qual è il progetto educativo legato a quest’idea dell’“organico funzionale”, che continua a somigliare, slide alla mano, a una vasta milizia di tappabuchi non formati che dovrebbero a loro volta formare in modo iperqualificato.
Non si capisce perché chi per esempio ha vinto un concorso per insegnare latino e greco debba – o, soprattutto, sappia – formare i suoi colleghi, potenziare le competenze linguistiche, sviluppare le competenze digitali degli studenti, incrementare la scuola-lavoro: queste sono le abilità richieste, per esempio, a questo fantomatico “organico funzionale”.
Sembra una riforma tutta improntata sull’innovazione, sul merito: ogni volta in queste conferenze stampa è tutto un luccichio di concetti fraintesi. Bisognerebbe fare un lungo studio per esempio su come il concetto autocontradditorio, diseducativo di meritocrazia sia diventato un principio educativo cardinale. E vedremo come dopo la distruzione delle università – divise ormai tra poli di reale formazione e parcheggi per prossimi disoccupati e precari – questa riforma sposterà il tema dell’inclusione sociale e della uguaglianza formale ancora più in basso anagraficamente. Ha vinto di fatto il modello delle scuole paritarie, del privato – come si dice – “d’eccellenza”.
Ma l’accento più forte nella conferenza stampa di ieri è stato posto sull’autonomia scolastica. Mentre – come testimoniato dal suo addetto stampa Filippo Sensi – Renzi teneva sul tavolo questa vignetta di Charlie Brown, le sue parole scorrevano in senso tutto opposto.
La striscia di Charlie Brown che @matteorenzi ha esposto sul banco della conferenza stampa su #labuonascuola pic.twitter.com/N4D6DHAjbD
— nomfup (@nomfup) 12 Marzo 2015
E in nome di quest’altro plastismo che è ormai diventata l’espressione “autonomia scolastica”, si sdoganava la possibilità dei dirigenti scolastici di assumere i docenti per chiamata diretta, di “formarsi una loro squadra” confrontando curriculum e andandosi evidentemente a capare i pezzi migliori, come nel film di Moretti.
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