Nella diffusa percezione che gli scienziati vivano in una “torre d’avorio” che li porta a isolarsi dai problemi e dalle criticità che li circondano per concentrarsi invece sulle proprie ricerche, c’è un dibattito che riguarda l’internazionalizzazione. È noto che all’interno del mondo accademico c’è un ampio flusso di ricercatori che si muovono da un paese all’altro in cerca di finanziamenti e opportunità. Di più: le università sono in competizione tra loro per attrarre ricercatori qualificati da tutto il mondo. Nella maggior parte dei Paesi europei, gli accademici provenienti dall’estero rappresentano una quota consistente della forza lavoro del mondo universitario.

C’è chi sostiene che tutto questo viaggiare porti i ricercatori a essere poco attaccati al luogo in cui vivono, e che quindi finiscano sempre per concentrare i propri sforzi su questioni nazionali e internazionali. Come possono, in altre parole, persone disposte a viaggiare per il mondo per mettere le proprie risorse intellettuali al servizio delle più svariate università, magari spostandosi ogni due anni, essere motivati a dare un contributo per risolvere i problemi a livello locale?

Un gruppo di ricercatori ha provato a dare delle risposte, diffondendo un sondaggio a 625 ricercatori di sette università di diversi Paesi europei.

Dai risultati, si è visto che su una scala che va da 1 (debole attaccamento) a 5 (forte attaccamento), gli accademici che provengono dalla regione in cui operano tendono ad avere un attaccamento più forte rispetto a quelli che provengono da altrove (3,7 contro 3,0). Non c’è però differenza tra i due gruppi in termini di coinvolgimento in reti sociali informali a livello locale.

In generale, i ricercatori tendono a interagire più con partner a livello nazionale che a livello locale, a prescindere dal luogo di provenienza. I ricercatori del luogo si impegnano maggiormente verso la comunità locale, mentre gli accademici che vengono da fuori sono più coinvolti a livello nazionale e internazionale.

Ma più della provenienza è il grado di connessione a un certo luogo ad avere un impatto sull’impegno locale dei ricercatori. E la connessione, al contrario della provenienza, è qualcosa che si crea col tempo e con l’impegno. Gli accademici che si sentono fortemente legati al luogo in cui vivono stringono più rapporti con partner locali. Analogamente, coloro che hanno frequenti interazioni sociali si impegnano maggiormente a livello locale. Le differenze tra accademici locali e stranieri scompaiono del tutto quando si considerano altri fattori, come il numero di anni trascorsi nella stessa università.

«Nel complesso – concludono gli autori del sondaggio –, non troviamo conferma della tesi che gli accademici stiano diventando sempre più “sradicati” e scollegati dalla comunità locale. Gli accademici hanno forti legami con le località in cui vivono. Non solo, ma collaborano anche con partner locali in molte attività per affrontare questioni e problemi locali. Invece di dare la colpa all’internazionalizzazione per il disimpegno a livello locale – suggeriscono gli autori –, la discussione dovrebbe concentrarsi su come stimolare i legami tra accademici, che sono fondamentali per favorire l’impegno a livello locale».

I responsabili delle politiche regionali e le università hanno un ruolo importante in questo senso. La politica deve dare priorità all’inserimento delle università e dei loro ricercatori nelle strutture socio-culturali regionali.

«Le università, da parte loro, devono sostenere il loro personale internazionale a sviluppare legami nella regione – concludono gli autori –. Non è sufficiente che le università attraggano eccellenti ricercatori stranieri. Devono aiutarli a radicarsi nella comunità locale, facilitando la creazione di reti e l’integrazione. Infine, i risultati mostrano anche che contratti di lavoro più lunghi aumentano l’impegno a livello locale. Pertanto, le università devono prestare attenzione alle loro politiche di assunzione e promozione. I contratti a tempo determinato e le scarse prospettive di carriera, ad esempio, potrebbero rappresentare delle barriere».

(Photo by Sincerely Media on Unsplash)

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