di Pierangelo Colavito

Avis si prepara ad affrontare una fase delicata e quanto mai decisiva per la vita dell’associazione, ossia il rinnovo delle cariche associative. Si tratta di un passaggio che, per quanto ciclico e programmato, avviene in un momento molto particolare, e impone alcune riflessioni strategiche che mi preme condividere nel corso di alcuni interventi che compariranno su ZeroNegativo da qui alla fine dell’anno. Il primo spunto che vorrei portarvi riguarda l’idea di rinnovamento che accompagna sempre queste fasi. Nel continuo dialogo che corre tra Avis e la società nel suo complesso, bisogna prendere atto di alcune espressioni chiave, o forse più semplicemente “alla moda”, che caratterizzano il nostro tempo.

Innanzitutto il cambiamento. È un tasto su cui la politica ha battuto molto negli ultimi anni. Ma il cambiamento, di per sé, è una scatola vuota. Quale cambiamento? In che direzione? Cambiare tutto o solo una parte? Come ci si mette d’accordo su ciò che va salvato e ciò che ha effettivamente bisogno di essere ripensato? Come si può vedere, è facile che una parola d’ordine che dovrebbe racchiudere un programma finisca per trasformarsi in uno slogan, se non se ne definiscono i contorni. Lo slogan del cambiamento è stato spesso ridotto a una questione anagrafica, come se l’età fosse un bene o un male in sé, e a una questione di quote. Ecco, da questo punto di vista ci sentiamo di rifiutare entrambe queste accezioni del cambiamento. Mi spiego meglio.

Dal punto di vista anagrafico, dentro la nostra associazione si è assistito spesso a un meccanismo che ha reso il rinnovamento un’operazione più formale che sostanziale. È capitato spesso, e capita ancora, che persone d’esperienza con cariche di alta responsabilità nel contesto associativo abbiano recitato la parte di coloro che si fanno da parte per lasciare spazio ai più giovani, salvo poi trovare il modo di ricoprire comunque ruoli decisionali che toglievano spazio di manovra ai nuovi eletti. Sarebbe auspicabile, ed è un concetto che a Legnano ripetiamo da tempo, che l’anzianità (anagrafica e di servizio) fosse un bene che rimane a disposizione dell’associazione, ma che non agisca da freno a un sano e naturale ricambio dei vertici associativi e degli organi collegiali. Avis ha sempre saputo fare tesoro dell’esperienza e della generosità di chi si è speso per l’associazione. È compito di tutti noi sfruttare e valorizzare quell’esperienza. Ma quando la generosità diventa protagonismo, rischia di costituire un peso che rallenta e appesantisce il processo.

In merito alle quote rosa, non mi si fraintenda. Sono consapevole del fatto che ci sia un eccesso di persone di sesso maschile nei ruoli di rappresentanza dell’associazione (così come al di fuori). Ma credo che quella delle quote rosa sia una misura che ha senso adottare quando un sistema prende atto di aver fallito nel suo intento di essere inclusivo e diversificato. Proprio per sostenere e nutrire quel dialogo con la società di cui parlavo prima, è necessario uno sforzo maggiore per fare sì che Avis non solo rispecchi maggiormente i cambiamenti che le avvengono intorno, ma sappia anche porsi come modello e come esempio. Dimentichiamoci le quote rosa, e pensiamo piuttosto a costruire un contesto inclusivo, per tutte e tutti. Abbiamo bisogno delle menti e delle “braccia” migliori, per essere più uniti, per crescere, per prepararci alle sfide del futuro. Ne parleremo presto.

(Photo by Tim Graf on Unsplash)

Può funzionare ancora meglio

Il sistema trasfusionale italiano funziona grazie alle persone che ogni giorno scelgono di donare sangue, per il benessere di tutti. Vuoi essere una di quelle persone?

Si comincia da qui