Mentre restano i dubbi su cosa fare domenica a proposito del referendum sulla riforma costituzionale, ci vengono alla mente alcune riflessioni (e domande) su quali siano oggi i problemi dei meccanismi di decisione politica, e quindi le possibili soluzioni. Alcuni dati proposti da Openpolis offrono molti spunti per provare a divincolarsi dalla vicenda del taglio dei parlamentari, che non è l’unica questione delicata di questi tempi.
Un Parlamento ridimensionato
Sul fatto che il ruolo del Parlamento sia stato fortemente ridimensionato nel corso degli ultimi decenni sono tutti più o meno d’accordo. I dati mostrano come non sia una novità, né un fatto confinato alla gestione dell’attuale emergenza sanitaria, il frequente ricorso a strumenti legislativi da parte del governo. Il caso più eclatante è quello della decretazione d’urgenza: il Parlamento si ritrova a dover decidere su norme che stanno già avendo un effetto sulle vite dei cittadini (perché i decreti entrano immediatamente in vigore, una volta che hanno la firma del Presidente della Repubblica). Lo spazio per la discussione e l’eventuale modifica resta dunque molto ristretto. Allo stesso modo, i governi tendono a essere i primi promotori delle leggi ordinarie: «L’iniziativa legislativa appare sempre più concentrata nelle mani dell’esecutivo – scrive Openpolis –. Il 75 per cento delle leggi approvate dal 2008 ad oggi sono state presentate dal governo. Una quota che negli ultimi mesi, anche in conseguenza dell’emergenza, è ulteriormente aumentata: quasi l’84 per cento delle leggi approvate durante l’esecutivo in carica (Conte II) è di iniziativa governativa». Un altro strumento ampiamente usato, che riduce a zero i margini di discussione parlamentari, è il ricorso alla questione di fiducia. Ricordiamo che, una volta che viene posta la questione di fiducia, il Parlamento ha due sole possibilità: non approvare il provvedimento proposto dal governo, con il risultato di far cadere l’esecutivo, oppure approvarlo così com’è, senza poter proporre modifiche. Lo strumento dovrebbe quindi essere usato solo per questioni assolutamente inderogabili rispetto alla linea generale del governo. Difficile pensare che sia così, visto che tutti i governi dal 2008 hanno posto almeno una fiducia al mese, in media. Un altro problema legato ai decreti governativi è il loro sfruttamento in termini di comunicazione. Ormai ci siamo abituati al fatto che molti di essi abbiano un nome: “Rilancio”, “Cura Italia”, “Spazzacorroti”, ecc. Questo ha diverse conseguenze: «Primo, l’appello a slogan e parole chiave consente al proponente di fare propaganda non sul merito delle norme che si vogliono introdurre, ma sull’intero pacchetto. Secondo, anche una volta approvate, tutte le norme hanno bisogno di una faticosa attuazione per calarsi nella realtà concreta dei cittadini».
La faticosa attuazione
Riprendendo l’espressione usata da Openpolis arriviamo all’altro tema che mette in luce le tante contraddizioni legate al ruolo del Parlamento nei processi decisionali della politica italiana: i decreti attuativi. Anche questo aspetto riguarda molto da vicino i meccanismi delle istituzioni italiane. Quando viene approvato un decreto legge, che come abbiamo visto è un atto con immediata forza di legge, il parlamento ha 60 giorni di tempo per convertirlo. Molto spesso, però, il processo deve proseguire all’interno dei ministeri, che devono approvare i decreti attuativi. Questo può segnare una distanza molto ampia tra il momento in cui viene firmato il decreto legge e quello in cui le disposizioni in esso contenute sono effettivamente realizzate. Qui finisce infatti l’aspetto politico della vicenda, e subentra quello burocratico (ammesso che i due siano del tutto separati). «Ad oggi, per i 22 decreti legge emanati dal governo, i decreti attuativi richiesti sono 252 in totale, di cui 181 (il 71,8 per cento) ancora da adottare […] Altri provvedimenti che vale la pena citare sono il Dl liquidità che prevede 8 decreti attuativi, di cui nessuno ancora adottato. Così come non è ancora stato adottato nessun decreto attuativo per quanto riguarda il Dl semplificazioni». Se andiamo a ritroso nel tempo, le cose si fanno paradossali. La legge di stabilità 2015, per esempio, ha ancora 6 decreti attuativi in sospeso. Quella 2018 ne ha in sospeso 38. E così via. Una cosa viene da chiedersi, pensando alla lunga e tortuosa strada che spesso devono percorrere anche i decreti legge prima di arrivare a una piena realizzazione: se comunque ci vuole così tanto tempo, non varrebbe la pena ridare al Parlamento il suo ruolo di iniziativa legislativa e contenere i decreti ai casi «di necessità e d’urgenza», come dice l’articolo 77 della Costituzione? L’esecutivo potrebbe tornare a fare l’esecutivo, e occuparsi di fare applicare le leggi, invece di passare tutto il tempo a scriverle.
(Foto di Emily Morter su Unsplash)